7° ALPINI


Giugno 1968

STORIA DEL 7° ALPINI

Il 7° Alpini in Montenegro

inizio
(25a puntata della storia del 7° Alpini)

Dopo la campagna di Grecia - nel corso della quale ebbe 198 morti, 627 feriti e oltre cento congelati - il Settimo, ancora agli ordini del col. Frati, venne trasferito nel luglio 1941 in Montenegro ove fu impiegato in operazioni di polizia.
Da Petrella, nei pressi di Tirana, il reggimento raggiunse Scutari; il «Feltre» era comandato dal ten. col. Aquilino Guindani, il «Pieve di Cadore» dal magg. Renato Perico, e il «Belluno» dal ten. col. Giovanni Luchitta.
Qui cominciò la guerra più schifosa che il 7° ebbe a combattere, contro bande di ribelli tanto irriducibili quanto spietate.
Il Feltre, munito di un pezzo della 22° batteria, agì lungo la direttrice Seoce - Visnica - Mokre Livade - Bijellis Do - G. Selo - Martinici - Vrsuta con q. 1182 - Vurja - Kuka; nei giorni tra il 29 luglio e l’1 agosto collaborò con i battaglioni Bassano e Belluno per assicurare lo sbocco sulla piana di Podgoritza e rendere più agevole il passo alla divisione «Venezia». Il Feltre proseguì poi, fino al 12 agosto, alla rioccupazione di vari presidi dislocandosi infine a Nova Varos ove venne invano attaccato dai ribelli il 5 settembre.
Alla fine di detto mese il battaglione di Guindani operò un’azione verso Visegrad combattendo efficacemente le formazioni irregolari nemiche, poi - in relazione al forte attacco avversario su Plevlje ove era il comando della «Pusteria» - occupò le quote dominanti Nova Varos e combatté per sedici ore continue nel tratto tra Nova Varos e Bistrizza fortemente insidiato dai guerriglieri e che era necessario mantenere libero per rendere sicuri i rifornimenti per tutta la divisione. Il Feltre ebbe due morti e alcuni feriti; notevoli furono le perdite avversarie.
Riuscita l’azione, la 66° rimase a presidio di Bistrizza e il resto del battaglione raggiunse Prje Polje; a Bistrizza, punto nevralgico per la sicurezza dei trasporti, si avvicendarono la 64° giunta l’8 dicembre e poi altri reparti del battaglione a fine febbraio.
Nel frattempo il reggimento cambiò comandante a seguito di malattia del col. Frati; dopo il comando interinale del ten. col. Luchitta e poi del ten. col. Castagna, giunse il col. Giuseppe Zappino che mantenne il comando del Settimo fino al termine della campagna balcanica.
Dall’1 aprile si ebbe l’avvicendamento anche alla guida del Feltre in quanto il ten. col. Guindani venne trasferito al comando della «Pusteria» e gli succedette il ten. col. Lelio Castagna.
Il battaglione lasciò Bistrizza il 20 aprile iniziando un nuovo ciclo di operazioni di rastrellamento e, dopo alcuni giorni di sosta a Priboj, si portò alla confluenza del Lim con la Drina giungendo fino a Mededa; vennero occupate Trebosilje, Medurijecje, Gradina e infine Miljeno dove sostituì il battaglione «Trento» dell’ 11° Alpini nella sorveglianza della rotabile Cajnice-Gorazde.
Mentre la 65° era a presidio di quest’ultima località, il resto del Feltre venne assalito a Miljeno, durante la notte sul 6 maggio, da un fortissimo numero di ribelli; la lotta si accese furibonda e continuò con inaudita violenza fin poco prima dell’alba quando gli attaccanti dovettero ritirarsi senza aver conseguito lo scopo di rioccupare l’importantissima zona presidiata dal Feltre; le perdite per il nostro battaglione furono gravi: 22 morti tra i quali il ten. Ezio Mombello, e una quarantina di feriti. Numerosi furono gli atti di eroismo riconosciuti con il conferimento di decorazioni, e sensibili perdite subirono i ribelli prontamente inseguiti attraverso Bezuino, Ifsar e Goli Vrk.
Il Feltre concluse gli ultimi mesi nei Balcani a presidio di Cajnice, rientrando in Italia nel settembre 1942.
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Il «Pieve di Cadore», dopo l’arrivo a Scutari con gli altri battaglioni del 7°, ebbe l’iniziale compito di assicurare il possesso delle alture ad est della Zeta e di Trebjes, e di vigilare nel tratto tra Vucovici e la valle Moriaca.
Rafforzato dalla 23° batteria di Albertelli, il «Cadore» fu in appoggio all’11° Alpini nelle azioni su Vir Bazar, q. 621, G. Selo e Sotonici.
Le operazioni più dure furono quelle del 20 luglio quando i ribelli, appostati sui costoni a nord della quota 621, attaccarono le nostre truppe in movimento. La 75° proseguì l’azione su Popovdo, la batteria raggiunse la selletta ad est della quota iniziando prontamente il fuoco, la 68° tentò un aggiramento delle posizioni tenute dall’avversario sul costone di Silavici posto a sbarramento della regione di Sozzine a nord di Levasco Polje; ma la nostra batteria venne aggredita sul tergo da altri forti nuclei avversari, come pure un plotone della 75° compagnia, per cui fu necessario riunire le forze in unico gruppo operante su q. 621.
Sottrattosi al movimento aggirante iniziato dal nemico, il «Cadore» eseguì l’ordine di ripiegamento rientrando all’inizio della notte; le perdite furono circa quaranta (sei morti, 26 feriti, 9 dispersi) oltre a numerosi contusi. Le perdite avversarie vennero valutate a un centinaio; nessuna arma venne perduta dagli alpini, ad eccezione di un pezzo della batteria reso inservibile con l’asportazione dell’otturatore e degli strumenti di puntamento.
Il Cadore tornò a Scutari, poi a Podgoritza ove effettuò una vasta operazione di rastrellamento, a Rijeka e Savnik, passò per Bjielo Polje, a Brodarevo (lasciando in distaccamento la 67°) e infine a Prje Polje ove si ricongiunse con il reggimento.
Numerose ancora le azioni contro i ribelli, tra cui quella effettuata il 2 dicembre dalla 68° compagnia (unitamente alla 78° del Belluno) in direzione di Seljanitza. Il Cadore agi il 6 dicembre - in concomitanza con il Belluno - per l’azione di sbloccamento di Plevlje che raggiunse il giorno 7 dopo essere passato per Rikavce, e rientrando poi con lunga marcia forzata a Prje Polje; in febbraio fu a Priboj e poi a Visegrad e nella zona di Cajnice fino al rimpatrio avvenuto in agosto.
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Le prime azioni assegnate al battaglione « Belluno», dopo il suo arrivo a Scutari, ebbero come obbiettivi Podgoritza, Rijeka, Cettigne, Antivari, Berane, Kolassin, Bjelo Polje, Brodarevo, con meta Prje Polje; in settembre venne inviato a presidiare Sjenica, a circa 45 chilometri da Prje Polje ove era dislocato il comando di reggimento, e venendo infine adibito ai servizi di scorta alle colonne di rifornimento al presidio di Plevlje.
Si ebbe in tal modo una maggiore concentrazione delle nostre truppe, nell’impossibilità di difendere gli isolati piccoli presidi contro le insidie e gli attacchi dei ribelli.
La 79° del «Belluno » fu l’unica compagnia del Settimo che, con altri reparti della «Pusteria», si trovava a Plevlje 1’1 dicembre quando un’orda di migliaia di partigiani attaccò con impeto, travolgendo i nostri posti avanzati e infiltrandosi nell’abitato.
I nostri reparti fronteggiarono immediatamente l’avversario, spesso in accanita lotta corpo a corpo, e alle prime luci dell’alba iniziarono il contrattacco che, dopo parecchie altre ore di combattimento, risolse la situazione con il ritiro delle formazioni montenegrine che lasciarono sul terreno un migliaio di morti. Sensibili, anche se minori, furono le nostre perdite; in particolare, la 79° del Belluno ebbe alcuni morti e una decina di feriti.
Il comando della Pusteria chiese l’appoggio di altri reparti dislocati nella zona, allo scopo di prevenire eventuali altri attacchi, e la 77° del «Belluno» partì quindi da Prje Polje con il compito di bloccare la rotabile per Plevlje, mentre il battaglione «Bassano» puntava da Rudo verso la sede del comando divisionale.
Fu nel tratto di strada che da Rikavce porta al passo di Jabuka che la 77° del Belluno, mentre procedeva in colonna autocarrata, venne improvvisamente aggredita dai ribelli appostatisi in posizioni dominanti; cinquanta alpini vennero subito colpiti e gli altri balzarono prontamente dagli autocarri sistemandosi a difesa.
La lotta durò, pur con brevi pause, per sei ore; la situazione degli alpini era assai precaria in quanto la prudenza di formare la colonna con automezzi opportunamente distanziati, compromise la possibilità di reazione unitaria in caso di attacco di grande consistenza come quello verificatosi.
Divisi in tanti piccoli nuclei, impossibilitati al congiungimento a causa del fuoco radente dei ribelli, gli alpini si difesero strenuamente fino all’esaurimento delle munizioni; alcuni alpini tentarono l’approvvigionamento con quelle rimaste negli autocarri, ma appena si mossero vennero immediatamente colpiti.
Tra gli alpini si ebbero 36 morti e 12 feriti; 48 i dispersi. Rimasero prigionieri dei montenegrini anche il comandante della compagnia ten. Giacomo Gioia, i sottotenenti Mario Berti e Gino Eger e il tenente medico Renato Tomaselli.
Bastonati ferocemente gli ufficiali catturati, i partigiani finirono gli alpini feriti colpendoli col calcio dei fucili e con grossi sassi con cui schiacciarono loro la testa.
Ad eccezione del tenente medico che venne professionalmente utilizzato dai ribelli, gli ufficiali dovettero portare il pesante bottino catturato, e vennero sistematicamente bastonati quasi ogni giorno; il ten. Gioia veniva spesso buttato, nudo, in un ruscello ghiacciato.
Non si conoscono tutte le durissime vicissitudini dei prigionieri, in quanto il tenente medico venne separato dagli altri e, dopo molti mesi, riuscì a fuggire e raggiungere un nostro presidio con cinque disertori partigiani.
Intanto - il 23 dicembre 1941 - Gioia, Berti e Eger vennero massacrati con più di cinquanta altri prigionieri, e le loro salme vennero gettate nella caverna detta «di Omar» nella zona di Zebrjak.
All’attacco dell’1 dicembre riuscirono a sfuggire alcuni alpini che si trovavano negli ultimi autocarri della colonna, e che raggiunsero il presidio di Prje Polje dando l’allarme. Il comandante del reggimento dispose una sollecita ricognizione sul luogo del combattimento ove si recarono la 78° del Belluno con la compagnia comando e la 68° del Cadore, ma non trovarono superstiti; urtarono invece contro le bande ribelli. Più consistente azione venne iniziata alle ore 2 del 6 dicembre, con le compagnie 77° e 78° del Belluno e il battaglione Cadore, sotto la direzione del ten. col. Luchitta; le forze montenegrine si ritirarono precipitosamente verso il passo di Jabuka e tutto il bastione di Rikavce risultò sgomberato, dopo di che i nostri reparti rientrarono a Prje Polje.
Il 7° Alpini, avuto il cambio da reparti di fanteria della Divisione «Venezia» nel febbraio 1942, si concentrò nei pressi di Priboj e sostò alcuni giorni a Wiesegrad dove ebbe a sostenere altri aspri combattimenti.
Nel successivo agosto, partiti da Wiesegrad, i nostri alpini rientrarono in Patria con la coscienza di aver fatto il proprio dovere anche durante queste circostanze così amare e disumane.
Numerosi furono gli aiuti dati dai nostri alpini alle popolazioni tanto frequentemente ingenerose. Nelle liste dei «criminali di guerra» - pur tanto facili all’estensione da parte dei comandi delle brigate partigiane - non figurarono mai né il col. Zappino (che, tra l’altro, fin dal suo arrivo volle assicurare un pasto caldo a 700 bambini della zona presidiata) e nessuno dei comandanti dei battaglioni del 7° Alpini.

(continua)