Storie dei nostri veci

INNOCENTE STELLA

Dicembre 1982

Disgrazie e fortuna di un vecio alpin

Siamo andati a trovare nella sua casa di Falzè di Piave l’alpino Innocente Stella, da tutti conosciuto col nome di Armido, per farci raccontare la sua storia in armi durata oltre 46 mesi e trascorsa sul fronte russo e nel campo di concentramento di Neubrandenburg.
Armido ricorda quei momenti con estrema lucidità e dovizia di particolari, ma dai suoi occhi traspare ancora uno stato d’animo carico di angoscia e di sgomento.
Armido è della classe 1921; reclutato il 4 gennaio 1942, già tre fratelli erano al fronte, venne destinato al 7° Reggimento ed inviato prima a Belluno e poi ad Agordo. Il 26 luglio venne trasferito a Desenzano: Credevo d’essere all’estero abituato com’ero a non muovermi di casa, ma soprattutto per il fatto che non capivo una parola di quel dialetto. Venne successivamente aggregato al 6° Reggimento in Val Tremosine e, dopo aver raggiunto a piedi Cavalese, il 14 ottobre 1942 giunse l’ordine di partenza per il fronte russo.
Arrivammo il primo di novembre giorno del mio compleanno, — ricorda Armido — e come regalo mi fu dato mezzo gavettino di caffè in più.
Il 16 dicembre il 6° Battaglione Vestone e la Julia ebbero l’incarico di “rinforzare” quello che restava della Tridentina, della Cuneense, della Sforzesca e degli Ungheresi in prima linea sul Don. Durante la marcia di avvicinamento, ho trovato diversi compaesani: Giovanni Meneghel di Villanova ed Ottorino Breda che non sono più tornati; il sergente Angelo Pelle gnu “Zoccolotto” ed il “Bocio” Mario Mariotto. Passarono i giorni ed arrivò anche il Natale con i russi a “pochi” metri che ci esortavano alla resa chiamando per nome i nostri ufficiali; il loro slogan era: — Arrendetevi o sarete distrutti! — pur tuttavia, ancora, non ci attaccarono. Giunse il mattino del 16 gennaio ed i russi, inizialmente coperti dai carri armati, si mossero attraversando il Don. Iniziò la battaglia! Riuscimmo a respingerli, ma lasciarono sul campo numerosi morti e feriti. Durante la notte dalla superficie ghiacciata del fiume si levavano grida e lamenti strazianti dei moribondi; sono cose indimenticabili ed indescrivibili. La sera del 17 gennaio ci fu dato l’ordine di ritirarci e si formò così una lunga colonna che raggiunse prima Podgornoje e poi Scheliakino; proprio a Scheliakino ho perso l’amico Erminio Antoniazzi da Pedeguarda falciato da una raffica di mitra.
Successivamente la colonna, larga tre chilometri e lunga oltre trenta, puntò su Nikolajewka dove vi giunse il 25 gennaio. All’appuntamento c’erano ad attenderli i russi.
Eravamo praticamente senza armi ed il primo assalto, per cercare di aprire un varco, fu condotto dai Battaglioni Vicenza e Valcamonica. Fu una carneficina! Alle 14,30 dello stesso giorno, al comando del Generale Reverberi, tentammo nuovamente di forzare il blocco e, all’arma bianca, ci gettammo a valanga sul nemico.
In quel giorno gli Alpini scrissero una delle più gloriose pagine della loro storia; misero in fuga i russi, ma il prezzo pagato fu di migliaia di morti.
Il mattino del 27 riprese la ritirata verso Bielconow. Armido ricorda d’essersi “sfamato” in due giorni con una sola patata trovata per caso in mezzo la neve.
Giungemmo a Bielconow e trovammo i primi soccorsi; per un attimo assaporammo l’idea d’essere usciti da quell’inferno, fu proprio un attimo perchè i soldati russi ci stavano raggiungendo.
Riprese così la ritirata che terminò a Kiev dove Armido prese la tradotta per l’Italia. Aveva percorso a piedi circa un migliaio di chilometri e dei 1400 uomini del “suo” battaglione ne tornarono 57.
Giunto in Patria, dopo un periodo di licenza, il 19 luglio si ripresentò a Desenzano dove stavano ricomponendo i battaglioni alpini; fu trasferito prima a Ronchi dei Legionari e poi a Colle Isarco dove apprese, dal tenente Occhi, che sarebbe stato decorato di medaglia d’argento; ma arrivò l’8 settembre 1943 e l’ordine di consegnare le armi. Armido per non aver voluto “collaborare” venne internato nel campo di concentramento di Neubrandenburg dove vi rimase dall’11 settembre 1943 al 14 ottobre 1945: 25 mesi. Superfluo a questo punto commentare tale periodo di sofferenza dato che tutti conosciamo il trattamento che venne riservato agli internati. Dopo la liberazione Armido è rientrato in Italia, ma per ragioni di lavoro fu costretto ad emigrare in Svizzera. Il suo pellegrinare terminò nel 1968 quando ritornò definitivamente al suo paese.
Con l’aiuto del tenente Occhi, ritrovato ad un’adunata di reduci, effettuò ricerche per ottenere la medaglia di argento che gli dovevano consegnare l’11 settembre 1943, ma tutto fu vano; e con l’ultima ombra, Armido ci ha salutato dicendo: Non me importa nient dele madaie, me basta esser tornà a casa san e salvo.