Storie dei nostri veci

ANTONIO BIANCO


Giugno 1968

ANTONIO BIANCO, cavaliere di Vittorio Veneto

Antonio Bianco - Cavaliere di Vittorio Veneto della classe 1897 e socio del Gruppo di S. Pietro di Feletto è deceduto il 24 aprile.
Era tra i soci più anziani e ben voluti del Gruppo; padre di nove figli di cui sei maschi: due artiglieri e quattro alpini. Nel primo conflitto mondiale venne decorato di croce di guerra per aver preso parte alla liberazione di Feltre.
Abbiamo avuto modo d’incontrare la moglie ed uno dei figli, in casa del capogruppo di S. Pietro, Narciso Piccin, e dai loro ricordi tracciamo due righe sulla figura dello scomparso.
Arruolato il 4 ottobre 1916, alla età di 19 anni, dopo il periodo di reclutamento a Mel fu inviato sulle Tofane, aggregato al Genio col gen. Cantore. Dopo sei mesi, rientrato alla 68° compagnia del Battaglione «Pieve di Cadore», fu inviato a Caporetto, ma dopo lo sfondamento delle linee da parte del nemico, s’è dovuto ritirare con gli altri al di là del Piave.
Nell’ottobre del ‘18, durante la grande offensiva, partecipò col suo tenente alla liberazione di Feltre dove vi entrò tra i primi, annientando una postazione nemica e facendone prigionieri i componenti che consegnò al ten. Italo Balbo comandante il plotone «arditi» del battaglione.
Abbiamo voluto maggiormente documentarci su quel di Feltre e non pochi sono gli scritti che riportano quanto riferitoci dai suoi familiari. Ne citiamo qualcuno lasciando la parola a chi visse quei giorni indimenticabili.
Dalla descrizione dell’allora Sindaco di Feltre, Arturo Paoletti: « . . . la liberazione era nell’aria sin dal 29 ottobre e la popolazione ne ebbe quasi la percezione in quel martedì famoso che vide i suoi oppressori in preda alla più smaniosa fretta di partire e di portare con sé tutto ciò che potevano. Ma il dì seguente era successa una calma relativa: non più Comandi ma neppure truppe che si ritiravano. La città era sola, abbandonata dal nemico, ma non ancor occupata dai nostri. . . La notte seguente trascorse quieta fra un intensificarsi di soldati in ritirata silenziosi e taciti, nel favore del cielo senza luna, in una complice oscurità quasi completa. Ma il giorno che sorse, il giorno della liberazione, parve come immergere la città in quello stupore che precede un grande evento . . . Improvvisamente il picchiettio di mitragliatrici vicine e poi lo scoppio di granate verso ponente rompono il silenzio dell’attesa: ed è un correre di tutti sui tetti, sulle finestre più alte, rivolger i visi verso tramonto, donde la liberazione si annuncia. Ad un tratto un grido: - l’è qua l’è qua i nostri -, e dalla via del Macello sbuca correndo il valoroso tenente Da Rin, con l’attendente Antonio Bianco e l’ardito Ernesto Ferrazza, che si precipita verso la sede del Municipio. Sulla scalinata la popolazione s’incontra con il valoroso soldato che, ultimo ufficiale ad abbandonare Feltre, è il primo a rientrarvi . . . ».
Don Antonio Pellin nel suo diario racconta: . . . « mattino del 24 ottobre 1918, anniversario di Caporetto: il Grappa a guisa di vulcano prende a vomitare dalle cento bocche delle sue gallerie migliaia di proiettili, si è iniziata la gigantesca battaglia che darà la vittoria alle nostre armi. Il 29 ottobre gli austriaci per non rimanere accerchiati decidono la ritirata. Il nemico rotola giù dai monti abbandonando le artiglierie, incendiando tende, baracche e depositi di munizioni: la ritirata si converte in fuga precipitosa. La via per Feltre è libera, nidi di mitragliatrici appostati lungo la strada vengono aggirati e catturati. Il ten. Da Rin con due soldati, eludendo la vigilanza nemica, entra per primo in città per via Macello (ora via Liberazione) ».
Anche nel volume «Medaglia al valore al Gonfalone di Feltre» troviamo la traccia del «vecio» Bianco:
«Il 31 ottobre alle ore 17 circa, il ten. Da Rio col suo fido attendente Antonio Bianco di Refrontolo e l’ardito del «Pieve di Cadore» Ernesto Ferrazza di Desio, passarono per primi il ponte delle Tezze, entrarono in città per la via del Macello, avviandosi subito verso la sede municipale . . .».