FRONTI DIMENTICATI


Dicembre 2018

PER RICORDARE, A CENTO ANNI DALLA FINE DELLA GRANDE GUERRA, I SACRIFICI DELLE POPOLAZIONI RIMASTE SOTTO IL DOMINIO STRANIERO

“Fronti dimenticati” è il titolo della mostra che è rimasta aperta dal 13 ottobre al 19 novembre 2018 a Palazzo Sarcinelli a Conegliano.
La mostra fotografica ha illustrato i momenti difficili vissuti dalla popolazione rimasta (donne, anziani e bambini) durante l’ultimo anno di guerra, dopo la disfatta di Caporetto e prima della vittoria italiana.
Una parte della mostra è stata dedicata ad un fronte militare dimenticato: quello dei marinai scesi dalle navi per combattere nel territorio lagunare per la difesa di Venezia.
E’ stato un anno, come ben illustrano le immagini, che ha visto Conegliano al centro delle offensive opposte degli eserciti tedesco e austro-ungarico da una parte e italiano dall’altra.
Conegliano ne uscì distrutta e in ginocchio, colpita dalle bombe di mortaio e ridotta alla fame, per le razzie di cibo compiute dagli eserciti invasori (essi stessi privi del supporto logistico delle proprie retrovie), tanto da meritarsi il titolo di città martire e la croce di guerra al valore.

Noi siano stati abituati a ricordare le guerre come un confronto tra uomini armati.
In realtà la guerra è stata molto di più di un confronto in armi: certamente non possiamo dimenticare la morte e le sofferenze, anche a seguito di ferite e mutilazioni riportate, di tanti giovani (alcuni anche giovanissimi, basti ricordare i ragazzi del ’99) da entrambe le parti. Ma non possiamo non ricordare la sofferenza di tutto un popolo.
Scrive Isabella Gianelloni, docente e storica, nell’introduzione al catalogo della mostra fotografa guerra e l’occupazione fica a proposito del ruolo delle donne durante la guerra e l’occupazione austro-ungarica: “Lungo l’asta del Piave, ‘di qua e di là’, tutti i paesi rivieraschi videro le razzie, le distruzioni, i campanili rasi al suolo dalle granate. Noi possiamo solo immaginare il silenzio surreale del tempo non più scandito dai rintocchi delle campane, stante tutto questo ma rotto solo dal passaggio dei carri e dalle esplosioni. Nonostante tutto questo la popolazione rimasta, sempre più magra a causa del cibo scarso e poco nutriente, dovette comunque continuare a lavorare, con le donne in prima fila. In tutta Italia il ruolo delle donne durante la Grande Guerra è stata ancora poco riconosciuta, anche se, furono chiamate a svolgere tutti quei compiti che prima erano prerogativa degli uomini, dalle campagne alle officine. Continuando però a gestire tutto il resto , vale a dire la casa, la cura dei piccoli e degli anziani, i lutti e le tragedie che si abbattevano giornalmente sulle famiglie dei combattenti, l’angoscia della mancanza di notizie da chi si trovava ‘di la’ di quel maledetto fiume, chissà dove, gli inevitabili rapporti con le autorità. Da qualche anno la storiografia ha iniziato a dare il posto che merita al ruolo insostituibile delle infermiere volontarie, che non solo hanno salvato la Patria con un tributo di sacrificio, lavoro diuturno, sangue versato ma insegnato spesso agli stessi comandi militari cosa significassero organizzazione e dedizione. Delle altre si parla ancora troppo poco: dalle contadine alle operaie, dalle portatrici di montagna alle cavatrici di pietre, dalle prostitute ufficiali a quelle costrette a vendersi dalla fame, dalle lavandaie alle madrine di guerra…”
Una parte della mostra fotografica è stata dedicata ai marinai di terra. Scrive sempre Isabella Gianelloni: “ L’asta del fiume Piave è sicuramente il tratto maggiormente distintivo di una parte del territorio veneto che dalle montagne scende verso la laguna veneta e lambisce Venezia, storicamente il simbolo di tutta la regione: dopo Caporetto la sponda destra del fiume divenne il confine ultimo da difendere ad ogni costo. Alla fine del suo corso, tra foce, lagune e canali scavati tutto si fa più incerto e la difesa, per forza di cose, dovette essere organizzata fra la terra e un’acqua che non è più fiume ma non è ancora mare. Là, dove il Piave termina la sua corsa, i marinai furono fatti sbarcare dalle navi per costruire pontoni armati, opere di difesa, terrapieni, per organizzare le fondamentali difese di Venezia: dovettero abbandonare le bianche divise per vestire il grigioverde, improvvisare palafitte per vivere in un ambiente davvero poco adatto alla sopravvivenza umana, divennero porzione strategica dell’esercito schierato a difesa di Venezia.
Questa mostra ha integrato bene quella tenuta presso il Museo degli alpini di Conegliano in piazza San Martino che ci ha fatto vedere armi e abbigliamento dei militari durante la Grande Guerra, un modellino dell’aereo, mezzo di combattimento (ma anche per propaganda nel territorio occupato dal nemico) utilizzato per la prima volta proprio in quella guerra (chi non ricorda Francesco Baracca?), ma anche uno spaccato interessante della vita dei soldati in trincea e in particolare della loro alimentazione, in condizioni difficili, dove si aguzzò l’ingegno per rendere più appetibile le razioni di cibo fornite, provvedendo a riscaldarle oltre che con gli strumenti forniti dall’esercito anche con quelli costruiti dagli stessi soldati, utilizzando le scatole che contenevano i cibi conservati.
Certo oggi nemmeno riusciamo ad immaginare la capacità di adattamento di uomini, provenienti da tutta Italia, in larga parte operai e contadini, spesso analfabeti, che affrontavano tutti i giorni la morte e la vista dei propri compagni che cadevano, colpiti a morte o feriti gravemente durante gli assalti e gli scontri corpo a corpo.
Di tutte queste persone: soldati di tutte le armi, donne impegnate come crocerossine, sui campi, nelle fabbriche, in casa non possiamo non ricordarci in quest’anno in cui con tante iniziative ripensiamo a quanti hanno sacrificato la loro vita per questa nostra Patria.

Gianfranco Losego