NIKOLAJEWKA


Maggio 2015

Il discorso del prof. Guido Vettorazzo a Brescia il 29 gennaio 2011 per il 68° anniversario della battaglia di Nikolajewka

Il mio più cordiale saluto a tutti i presenti, in modo particolare ai Reduci e ai familiari di Caduti e Dispersi in Russia.
Pur con qualche difficoltà e una certa emozione ho finito per accogliere l’invito di un mio intervento come un dovere e un servizio, grato per l’onore riservatomi, anche se ne provo timore per la mia insufficienza e Vi chiedo scusa per la voce e se prudentemente preferisco leggere le mie riflessioni.
So che qui nell’ambito della Scuola NIKOLAJEWKA, sorta per volontà ed opera di alpini e dirigenti ANA bresciani a ricordo incancellabile del valore e del sacrificio alpino in Russia, realizzazione così pregna di significato e di palpitante solidarietà, hanno prima di me parlato in molti, anche illustri e importanti personalità.
Ed è forse giusto che ancora, e finché sarà possibile, sia uno di noi Reduci a portare avanti il discorso del ricordo e della testimonianza. Ricordo e testimonianza più forti da quando negli anni 1980-90 siamo riusciti a rompere quel silenzio opprimente che in Russia ostacolava ogni tentativo di ricerca e ricordo, di revisione e relazione, di comprensione e di amicizia reciproca, indispensabili per accedere a un riscatto di umanità, di riparazione e di fratellanza nel segno di una pace finalmente raggiunta e condivisa.
Infatti nel 1990, il Presidente nazionale Caprioli con il Consigliere nazionale Grossi per la Div. TRIDENTINA ed io della JULIA potemmo verificare la possibilità di rivedere i siti di quella nostra sventurata guerra sul Don: con quel blitz ricognitivo fu fatto inizio e respiro alle visite di Reduci e familiari, di alpini e amici, aprendo relazione e amicizia con la città di Rossosc, fino alla “Operazione Sorriso” che palesò a quella popolazione la nostra fondamentale solidarietà e fratellanza alpina, subito sostenuta da “OnorCaduti” in convenzioni e ricerche, esumazioni e rimpatri di salme dei nostri Caduti, mai dimenticati.
Ma chi Vi parla e che in Russia fu con la Divisione JULIA, gomito a gomito con Peppino Prisco, non può non riandare col pensiero a quei fatti senza ricordare, in modo speciale in questa occasione, l’impegno, il valore ed il sacrificio offerti anche da questa Divisione alpina.
Dando per noti gli aspetti generali dell’operazione CSIR-ARMIR in cui fummo coinvolti per la colpevole insipienza dei governanti del tempo, io ricordo la JULIA schierata sul Don fra le altre due Divisioni alpine sorelle, TRIDENTINA a nord e CUNEENSE a sud, in attesa difensiva invernale.
Ma soprattutto la ricordo quando, fra metà dicembre ’42 e metà gennaio 1943, fu trasferita d’urgenza a sud sul gomito del Don di Nova Kilitva e Selenji Jar, per costituire baluardo difensivo sulla destra dello schieramento alpino nel tentativo di arginare l’offensiva “Piccolo Saturno” lanciata il 10 dicembre 1942 dai russi che già assediavano Stalingrado.
Lì resistette incredibilmente per un mese (dal 19 dicembre al 17 gennaio 1943), in campo aperto e senza ripari, a estrema difesa di Rossosc e del Comando del Corpo d’Armata Alpino, il cui schieramento era rimasto pericolosamente esposto su quel lato dopo il crollo delle difese alleate lungo tutta la grande ansa del Don.
Ciò mentre le nostre sei divisioni di fanteria, Cosseria, Ravenna, Pasubio, Celere, Torino e Sforzesca, investite e travolte assieme a varie altre unità tedesche e rumene, già vivevano l’immane tragedia ripiegando in due-tre blocchi principali, con marce estenuanti e vicende eroiche, da Meskov a Filonovo, ad Arbusov e Cercovo…
E quando il 15 gennaio 1943 i russi, sfondata a sud della JULIA la linea elastica del XXIV Corpo corazzato tedesco occuparono Rossosc e il Corpo d’Armata Alpino venne inesorabilmente accerchiato, ancora la già esausta JULIA, più lontana ed esposta in fondo alla sacca, dovette sopportare sforzo più pesante e distruttivo, risalendo verso nord in retroguardia su un itinerario obliquo e quindi più lungo per convergere sulla rotta della TRIDENTINA, pure essa in ripiegamento come da ordine comune finalmente ricevuto il 17 gennaio 1943. Però, tagliata fuori da ogni collegamento, assieme alla CUNEENSE, fatalmente dovette formare barriera contro i pesanti attacchi russi provenienti da sud, assorbendone sanguinosamente la pressione, ostacolandone il dilagare e l’aggressività: ricordo solo che il 19 e il 20 gennaio 1943, con la battaglia di Kopanki-Nova Postojalovka, JULIA e CUNEENSE impegnarono i russi per circa trenta ore. Fu un sacrificio estremo ma purtroppo vano, fino alla pressoché completa distruzione delle nostre forze già durissimamente provate dal precedente mese di azione tamponamento. La pressione russa, contenuta e respinta veniva poi aggirata col favor della notte in uno spasmodico andare senza soste né riposo…
Seguirono altri scontri a Nova Karkovka e a Novo Georgievski causa della finale distruzione e dispersione che precluse alla JULIA ogni pur minimo ulteriore impegno. Molti della JULIA, con CUNEENSE e VICENZA, privi di notizie e sbagliando strada, continuarono a procedere verso Valuiki che non si sapeva già occupata da cavalleria e corazzati russi. Inevitabile la resa. Qui vennero catturati, con interi comandi e colonne eterogenee, anche i comandanti della JULIA, CUNEENSE e VICENZA, generali Ricagno, Battisti e Pascolini.
Si salvarono solo i pochi che fortunosamente riuscirono ad incrociare la pista della TRIDENTINA a Scheliakino e oltre. Chi vi parla è uno di questi.
La TRIDENTINA infatti, aveva continuato la sua marcia a ritroso combattendo giorno dopo giorno con incredibile capacità e resistenza, seguita in colonna immensa dalla massa di resti sbandati di varie altre unità e nazionalità. Da ricordare anche l’apporto dei resti del XXIV° Corpo corazzato tedesco, che pur ridotto ad alcuni semoventi con pochi cingolati e traini anticarro, ma dotato di mezzi radio e aerei efficienti per comunicare con il comando d’Armata italiano o tedesco, fu impegnato in appoggio alla TRIDENTINA.
Dopo i vittoriosi sfondamenti operati a Opit, Postojali, a Nova Karkovka e Limarevka, a Sceljakino, Varvarovka e Malakjeva, la TRIDENTINA affrontò i sacrifici più gravi e finali a Nikitovka, Arnautovo e Nikolajevka. Qui rifulse al sommo il valore e la determinazione dei suoi battaglioni e dei suoi gruppi d’artiglieria, pur stremati e ridotti paurosamente nei ranghi.
A Nikolajevka il 26 gennaio 1943, dopo reiterati sanguinosi assalti dei battaglioni Verona, Val Chiese e Vestone, seguiti da quelli del Tirano e dell’Edolo con i resti del Morbegno e di altri residui, con una lotta accanita durata per tutta la giornata, ricordiamo l’innescarsi di quell’irresistibile movimento a valanga in cui vennero coinvolti migliaia di sbandati che si erano venuti addensando sul vastissimo pendio dominante la zona attaccata.
Tutti capivano che passare la notte fuori all’addiaccio significava subire altre perdite terribili per assideramento.
Questo spiega anche la insistente, spasmodica e quasi disperata pressione che la massa degli sbandati esercitava sui reparti combattenti, pressione istintiva, trasformatasi all’imbrunire in rovinosa e travolgente carica a piedi.
Una targa bronzea, posta sulla stazione di Nikolajevka da “veterani” russi nel 45° anniversario della battaglia suona naturalmente vittoria: ma la battaglia di Nikolajevka fu vinta dalla TRIDENTINA, che col suo estremo valore permise la salvezza dei resti del Corpo d’Armata Alpino con migliaia di feriti e sbandati al seguito.
Perciò noi non possiamo e non vogliamo dimenticare, anche perché siamo consapevoli che solo grazie ai tanti che lì combatterono, morti o feriti, noti e ignoti, noi fortunosamente sopravvissuti potemmo rientrare in Patria.
Così siamo qui a dire la nostra pietà e il nostro orrore per tutte quelle morti ingiuste, a testimoniare della immane fatica, della pena infinita di quell’andare a ritroso combattendo, lento, interminabile, catastrofico, perché senza mezzi adatti, vestiti male e armati peggio.
Siamo qui a rivivere la sofferenza atroce di chi morì di sfinimento in quel gelo implacabile, o anche nelle orride marce verso i campi di prigionia, nel degrado di una condizione la più umiliante, vittima delle più spietate privazioni e vessazioni.
Quei sacrifici e quei patimenti, sopportati tanto valorosamente quanto ingiustamente da generazioni sfortunate, ci invitano non solo ad una convinta ripulsa della guerra, ma ancor più ad una tenace opera di mediazione e dialogo, di partecipazione e di presenza, perché sempre e soprattutto prevalga la ricerca della pace, mediante soluzioni secondo giustizia e solidarietà.

Guido Vettorazzo
(già S.ten. nel btg. Tolmezzo – 8° Alpini)