ROSSOSCH


Dicembre 2013

OPERAZIONE SORRISO TORNIAMO A ROSSOSCH

Da qualche anno pensavo a come poter visitare la Russia e più in particolare i luoghi della campagna e della ritirata.
L’occasione di poter andare in quei posti si è presentata con il 20° anniversario della costruzione, da parte dell’ANA, dell’Asilo Sorriso di Rossosch.
Per noi alpini quei posti sono sinonimo di sofferenza , di morte, di disperazione, di atti eroici ed hanno nomi che tutti conosciamo resi ancor più celebri da molti scritti e sono nomi come: Nova Kalitva, Rossosc, Sceliakino, Walujki, Nikitova Nikolajewka…
Il solo pronunciare questi nomi, riempie la testa di tante sensazioni ed emozioni, vi lascio immaginare cosa si prova nel visitarli. La commozione ed un senso di inadeguatezza mi ha pervaso a tal punto che difficilmente sono riuscito a non emozionarmi. Arrivare sulla riva del fiume Don sembra già un traguardo, guardandolo da qui, ma in realtà è solamente un punto di partenza. Da qui poi si arriva nelle vicinanze delle postazioni della Julia (quota pisello) a Nova Kalitva, e si riesce appena ad immaginare, “toccando” con mano, quali sofferenze possano aver passato gli alpini, 70 anni fa.
Tante emozioni si accavallano e si alternano, come un turbine, come un pugno nello stomaco che ti lascia senza fiato e che non capisci da dove provenga. Tutto questo è nulla in confronto a ciò che si prova quando partecipi alla messa organizzata sopra una fossa comune dove “riposano” diecimila persone che lì sono state portate nella primavera del 1943 dalle donne di tutti i villaggi vicini. Anche il solo rispondere Amen risulta difficile e trattenere le lacrime, per me, è impossibile; allo stesso tempo però dentro ti chiedi perché, a quale scopo tutti quegli uomini sono stati mandati li? In una terra tanto lontana, per partecipare ad una guerra dalle motivazioni soprattutto ideologiche.
L’aver visitato tali luoghi ti fa capire, anche se non del tutto data la stagione (fine estate), cosa possano aver passato i tutti quei soldati, non solo alpini, che in pieno inverno a trenta sotto zero, senza viveri, con scarsi equipaggiamenti ed armamenti, hanno percorso a piedi 150 km in dieci giorni e combattuto contro un nemico che li aveva accerchiati e che era superiore per numero ed equipaggiamento.
Nonostante ciò con la battaglia del 27 gennaio a Nikolajewka sono riusciti a sfondare l’accerchiamento e a trarsi in salvo.
Credo che proprio da tutte queste sofferenze passate, sia nata la volontà di voler costruire un’opera per cercare di riconciliare due popoli che erano nemici. Un asilo i cui bambini possano, quando saranno adulti, essere testimoni della fratellanza tra i popoli. Solo gli alpini potevano pensare di costruire una tale opera in terra straniera per dare un aiuto concreto lì e per onorare chi da lì non è più tornato, proprio come dice il detto: “ONORARE I MORTI AIUTANDO I VIVI” .

Davide De Nardo