LETTERE AL DIRETTORE


Dicembre 2008

Riflessioni personali.
In questi ultimi mesi, con gli altri componenti della presidenza, abbiamo visitato una ventina di gruppi della nostra sezione. Siamo stati accolti con la massima cordialità e la più squisita generosità. In tutti i gruppi visitati abbiamo riscontrato una grande dedizione alla collettività locale, essi rappresentano una specie di unità di pronto intervento, atta a soddisfare le esigenze di amministrazioni, parrocchie ed altri enti locali.  Ciò non fa che portare prestigio e considerazione nei loro paesi e nella Sezione.  Nel momento in cui ci siamo inoltrati nell’argomento etico abbiamo riscontrato in alcuni gruppi una carente conoscenza di quali siano gli scopi della nostra associazione nonostante che il nostro presidente Battista Bozzoli abbia letto, all’inizio di ogni serata, alcuni punti fondamentali dello statuto.
L’ANA non è precisamente un’associazione di volontariato. L’ANA è un’associazione d’arma che, oltre ad altri importanti scopi, ha soprattutto la volontà di ricordare chi è andato avanti ubbidendo alla Patria. Da alcuni decenni l’ANA ha scelto di ricordare i morti aiutando i vivi, operando nel sociale. Allora sì al volontariato, ovviamente quello mirato a fini nobili, ma nello stesso tempo ricordiamo chi ha sacrificato la vita perché potessimo avere un’esistenza migliore. Andiamo nei luoghi dove si fonda la nostra memoria perché solo lì troveremo le risposte che cerchiamo.
Ho la presunzione di pensare che questo concetto sia stato quello che ha spinto il nostro Presidente Perona assieme al CDN a programmare il percorso “sui sentieri della nostra storia” in occasione del 90° della fine della 1^ guerra mondiale.
Nei prossimi mesi capiremo se l’impegno profuso avrà sortito qualche effetto e se la maggior parte di noi, avrà afferrato il senso della differenza di portare il nostro cappello alpino o indossare un qualsiasi altro copricapo.
Scusate la franchezza.

Vostro Renzo Sossai


LETTERA DEL Col. IVO EMETT

Carissimo Presidente G. Battista Bozzoli, il 25 marzo 2008 ho ricevuto il suo cortese invito a partecipare alla presentazione del DVD “era una notte che pioveva” con canti degli Alpini registrati nei luoghi della Grande Guerra, …, e proprio ieri cadeva il compimento del mio novantesimo compleanno. Ecco perché ho sentito subito il desiderio di raccontare a tutu gli amici Alpini che interverranno, un episodio a me capitato durante la guerra greco-albanese nel 1940, che ha analogie con le vicende descritte dalla citata bellissima canzone.
Nel periodo novembre-dicembre 1940, il Ten. Sergio Sammartino ed io (S.Ten) venimmo inviati dal Comando del Gruppo Conegliano (appartenevamo entrambi alla 13^ Btr), con una ottantina di Artiglieri Alpini, di rinforzo alla 6^ compagnia del Btg Tolmezzo, che per le noi tristi vicende della guerra era ridotta a70 uomini; comandante era il mitico eroico Ten. Maset e subalterno il S.Ten. Giuseppe Tagliavento, mio concittadino e compagno nelle gare di canottaggio ad Abbazia (Fiume).
Eravamo armati solo di moschetti 91, di munizione nel tascapane e di bombe a mano, il cui lancio io preferivo al tiro con la pistola cal. 9 di ordinanza. Eravamo circondati dai Greci su una collina di pini. Ogni giorno riuscivano ad arrestare le scaramucce che il nemico conduceva nella speranza di fiaccarci. I viveri e le munizioni ci venivano riforniti da aerei, che con i paracadute ci recavano gallette, latte condensato e proiettili.
Un giorno i Greci ci mandarono un parlamentare albanese con un biglietto così concepito: “Alpini siete bravi soldati, ma noi siamo molto più numerosi e vi circondiamo. Arrendetevi, vi concederemo l’onore delle armi. F.to Col...” Fu Beppe Tagliavento che rispose in accordo con Maset: “Gli Alpini non si arrendono. F.to Generale Tagliavento”. Ma intanto la vita si faceva sempre più dura; nevicò ed io e Sammartino avevamo solo un telo da tenda per difenderci dalla neve che una notte ci coprì. Maset decise al fine di ritirarci, ma c’era solo una via di scampo, il letto di un torrentello che usciva in una stretta valle; camminammo un’intera notte sull’acqua e riuscimmo a liberarci. Alle prime ore dell’alba avevamo raggiunto il Comando del Tolmezzo e sfiniti ed affamati ci addormentammo sotto una tenda: è qui la similitudine con le vicende descritte dalla canzone che mi hanno commosso, quando dice: “o sentinella torna al tuo posto, sotto la tenda a riposare; quando fui giunto sotto la tenda, sentivo l’acqua giù per le spalle e sentivo i sassi giù per la valle, sentivo i sasso a rotolare”. Era proprio tale la situazione, eravamo tutti bagnati e lo scroscio della pioggia provocava il rumore dei ciotoli, ma tanta era la stanchezza che dormimmo.
Gli Ufficiali Alpini che ho citati, tutti sono nel Paradiso di Cantore, meno il sottoscritto, ancora vivente, ma non in grado di raggiungere Conegliano per le precarie condizioni fisiche. Tagliavento morì nei pressi del Golico, Sammartino morì in Russia in battaglia e Maset cadde nella guerra di liberazione. Io rimpatriato nel 1942, partii per la Russia, ove dopo una M.A.V.M. sul campo, caddi prigioniero e rimpatriai dalla Russia nel giugno 1947 e finii il servizio militare nel 1948. Dal 1938 al 1948 durò la mia naia, compresi otto mesi trascorsi all’Accademia navale di Livorno, che per vari motivi che sarebbe troppo lungo raccontare, abbandonai.
Dopo otto anni, in febbraio, vengo invitato alla commemorazione di Nikolajewka, soprattutto per raccontare le tragiche efferratezze della strage, voluta dal comunismo di Stalin, degli oltre 60.000 celovieki italiani, che io ritengo un dovere. Gli Alpini abruzzesi, come fratelli, mi vengono a prelevare con mia moglie (da 58 anni) a casa e per tre giorni, mi accolgono con ogni attenzione e cura, perché io parli agli studenti, agli alpini giovani e alla popolazione perché ne tramandino il ricordo.
Grazie dell’inviyo, grazie per aver letto questo mio scritto e grazie infinite se vorrete leggere quanto ho scritto, non per ambizione, non sono uno scrittore, ma per sentirmi vicino a tutti gli Alpini che amo e stimo con tutto il cuore. Da marinaio sono diventato Alpino fino al midollo; forse era un dono del mio DNA.
Vi abbraccio tutti con fraternità alpina. Mandi!
Col. T.O. Ivo Emett


I valori dell’editoriale

Egregio Direttore, ricevo e leggo molto volentieri il giornale nazionale dell’ANA e ovviamente anche Fiamme Verdi, riviste che ricevo puntualmente e puntualmente passo in rassegna appena le ricevo, diversamente da altre riviste.
L’editoriale è ciò che cattura di più la mia attenzione; è il succo del messaggio che la rivista vuole trasmettere.
Quante volte mi sono soffermato a meditare sui “valori” a cui ci si richiama in quegli articoli, e se mi sono deciso a farle giungere il mio pensiero è perché spronato dal suo ultimo editoriale.
Lei ha richiamato in modo eccezionale alcuni comportamenti, alcune leggi che hanno contribuito a minare quei sentimenti e quei valori che fino a pochi anni fa sembravano orgoglio e patrimonio dell’intera nazione.
Le confido che man mano che leggevo mi si stringeva il cuore, convinto anch’io come lei che la naja, la bandiera, (meglio chiamarlo “tricolore” per non confondersi) le istituzioni, il profondo senso dello stato e della convivenza civile non sono merce di scambio.
Ho fatto anch’io la naja negli alpini nel 68 a Belluno e, vale la pena ricordare, nessuno a quei tempi metteva in dubbio tutto ciò, nemmeno l’utilità del servizio militare.
Ha indignato anche me la scelta di permettere di far fare il servizio civile; pensavo di aver servito lo stato e invece mi hanno fatto credere di essere stato un guerrafondaio e l’aver imbracciato il fucile una scelta sconsiderata, per converso, negli anni successivi, chi ha optato per il servizio civile, imboscandosi, sembra avesse più merito… misteri italiani!
Quindi piena condivisione su quanto scrive e le assicuro addolora anche me nel constatare che tanta gente accetta passivamente ciò che gli viene propinato e soprattutto come un branco di pecoroni non ha più la coscienza critica e mi fa non poca paura il veder condividere sempre e comunque l’idea del “capo” anche se dice scemenze e/o menzogne.
Ricordiamoci che le dittature trovano fermento proprio in questi comportamenti.
Ma ora torno all’articolo.
Viene spesso citato l’Alpino/persona come emblema naturale e portatore di questi valori; io ho dei dubbi! e mi spiego.
Chi offende sistematicamente la bandiera ha nome e cognome e lo ha fatto capire anche lei, gente che ama distinguersi per qualcosa di verde addosso (non si confonda con il verde alpino) e le assicuro, ma penso convenga anche lei, molti sono i proseliti anche tra le fila degli alpini.
Certo l’alpino non ha colore politico, ma mi domando, come si può fare l’alza bandiera, recitare l’inno, farsi promotori di tanta solidarietà e poi tolto il “cappello” avvalorare quelle tesi che sono l’opposto?
Sono veri alpini o qualcos’altro?
E nell’ipotesi che a qualcuno possa e essere sfuggito quanto ha scritto su come l’Alpino è, o come dovrebbe essere, le suggerirei di scriverlo a caratteri cubitali chissà che qualche coscienza in più venga scossa.
Quindi tanti auguri per la rivista e complimenti.
Lorenzo Battistuzzi (Orsago)

Convengo con te caro Lorenzo su tante cose, ma sono sicuro che nessun alpino ha mai apprezzato gesti o parole che offendono la Patria o il Tricolore. Un po’ per pigrizia un po’ per sottovalutazione si lascia perdere. Siamo un popolo di scarsa memoria storica e un po’ rassegnato. Io stesso ho scritto che è una battaglia persa... Ma l’ANA è un’associazione della memoria e dei valori ed ognuno di noi deve fare la sua parte. L’ultima cosa però che il nostro giornale deve fare è far politica e censurare. Credo che il dibattito, la discussione, il confronto siano solo positivi ed è quel che mi auguro avvenga anche nei Gruppi.

(a.m.)