REQUIEM ALLA NAJA


Luglio 2005

Lo scorso anno il Parlamento italiano ha sancito la definitiva abolizione del servizio militare obbligatorio, più brevemente conosciuto come servizio di leva o, ancora più sinteticamente come “naja”, termine proprio del dialetto veneto, ma presto esteso e compreso fino alle estreme propaggini meridionali del Paese.
“Naja” da “tenaja”, ossia “tenaglia”, per definire meglio la durezza dell’onere cui i cittadini italiani di sesso maschile immuni da tare fisiche dovevano sottostare non appena raggiunta la maggiore età.
Con buona pace del tanto citato quanto negli ultimi anni disatteso articolo della Costituzione (“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino...” ecc. ecc.), il termine e tutto ciò che esso si porta dietro è stato gettato nel dimenticatoio sembra senza troppi rimpianti, né rievocazioni, né riconoscimenti di ciò che esso ha significato nel passato anche recente; né sapremo francamente individuare quale, tra le Autorità Politiche e Militari, abbia dimostrato maggior sollievo per essersi liberata senza soverchio fastidio di questo ingombrante avanzo di un passato che tutti sembrano voler dimenticare il più rapidamente possibile. E se anche il Presidente della Repubblica — sempre così sollecito nell’individuare, puntualizzare, esaltare gli aspetti migliori della storia dello Stato Unitario — ha preferito tacere, è chiaro ed evidente che per la naja” non è più tempo di rimpianti, né di commemorazioni.
Dice: anche da un punto di vista strettamente tecnico il servizio di leva è da considerare ormai obsoleto, né esso avrebbe potuto continuare a rappresentare la componente essenziale dello strumento bellico di cui il Paese deve disporre. Le cosiddette “operazioni di pace” (che poi spesso di pace non sono, ma questo è vietato dirlo e il ridicolo assoluto è stato raggiunto al momento del varo della “Cavour” — una nave portaerei che disporrà ovviamente di tutti i più moderni mezzi bellici di offesa e di difesa — definita dalla cronaca televisiva... “portaerei di pace”!) richiedono personale specializzato, di elevate qualità psico-fisiche e capacità tecnico professionali che mal si adattano al clichè del Marmittone, cui per più di un secolo si è fatto riferimento per prendere in giro il coscritto (altro termine usato per il soldato di leva). Oggi l’Esercito ha bisogno solo di professionisti e quindi i dilettanti stiano a casa, anche se muniti di laurea o di diploma di alto contenuto tecnico quali negli ultimi anni si trovavano abbondantemente anche fra i militari di leva. In verità quest’ultima osservazione tenta di nascondere, con una buona dose di ipocrisia, anzi di cinismo, una verità piuttosto amara, seppur realistica: le operazioni di pace comportano una elevata probabilità di rischio; nelle operazioni di pace si può anche morire (e l’esempio dei caduti di Nassirya è lì a dimostrarlo): se capita ad un professionista ciò fa parte degli incerti di chi ha scelto la professione delle armi; se capita ad un... dilettante quale è il militare di leva apriti cielo! Chi glielo va a dire ai genitori, ai partiti politici che contro la leva si sono scagliati in epoche nelle quali l’idea che la guerra potessero farla solo gli iperspecializzati di oggi era di là da venire.
Eppure... eppure sono quei “dilettanti” che hanno fatto l’Italia Unita, che hanno combattuto tutte le guerre nelle quali la nostra Patria è stata comunque coinvolta a partire dalle guerre d’indipendenza, alla spedizione dei Mille, alle campagne coloniali, alla 1° Guerra Mondiale, alle guerre per definizione “sbagliate” del Regime Fascista, in Etiopia e in Spagna alla 2° Guerra Mondiale. E potremmo continuare se non altro per sottolineare che in quei conflitti non si è... scherzato e che milioni di non professionisti della guerra vi hanno perduto la vita, comportandosi talvolta eroicamente, sempre con dignità e coraggio. Ne ricordiamo almeno uno per tutti: il Milite Ignoto, che non era certamente un professionista della guerra ante litteram e dorme il sonno eterno sull’Altare della Patria. Non sempre bene accetta, anzi talvolta subita come un onere non sempre sopportato con rassegnazione (basti pensare alle prime reazioni anche violente delle popolazioni  meridionali subito dopo l’unificazione del Paese, allorché al servizio dei mercenari si volle sostituire quello dei cittadini) la coscrizione obbligatoria fu lo strumento, talora inconsapevole, del nostro riscatto nazionale.
Questo strumento non può essere aggiornato, superato com’è dal progresso tecnologico, dalla inarrestabile evoluzione delle dottrine militari e anche dalla sensibilità di chi ne era destinato e talvolta vittima.., ma ciò non giustifica, secondo me, il... giubilante silenzio cui si sono abbandonate quelle Istituzioni Nazionali che invece avrebbero dovuto far sentire la loro voce ameno per rievocare e rendere un doveroso omaggio al servizio di leva ed al suo protagonista unico: il Popolo Italiano.

Guido Biasiol