ORTIGARA


Dicembre 2005

Leggenda ed eroismo sull'Ortigara

Sulle pendici del Monte Ortigara, fu scritta nel giugno del 1917, una delle pagine più tristi e desolate della grande guerra combattuta dagli Alpini del regio esercito italiano.
Questi luoghi sono diventati la leggenda più sincera di ciò che è stata la devastante sofferenza ed il fulgido eroismo dei nostri soldati, impiegati in impari attacchi contro soldati meglio equipaggiati e già piazzati sui punti strategici. L'Ortigara è per antonomasia "il più grande cimitero degli alpini" oltre che delle altre forze militari italiane ed austriache. La 52^ Divisione Alpina perse quasi 16.000 uomini fra ufficiali e truppa mentre il nemico dovette contare oltre 9.000 caduti.
Quota Ortigara 2105 fu conquistata e poi persa nell'arco dei circa 15 giorni d'operazione di guerra del giugno 1917.
Il sacrificio delle Penne Nere non produsse in verità alcun risultato sul piano tattico e non sconvolse l'andamento successivo della guerra. Lo storico Amelio Dupont osservò: "Fu sacrificio senza premio ma non senza gloria che, anzi, la gloria fu tanto maggiore e tanto più meritata quanto più certa era stata a priori l'assenza di premio".
A distanza di quasi novant'anni da quei tragici eventi queste zone dell'Altipiano dei Sette Comuni sembrano rimaste intatte, identiche a come devono essere apparse a quei ragazzi saliti quassù per immolarsi al Sacro Altare della Patria.
La scarsa vegetazione su quelle pietraie ci fa pensare come essi siano stati facili bersagli delle postazioni austriache. Lo stesso clima, spesso freddo e umido, rese non poco disagevole la vita in trincea nei mesi che precedettero l'attacco. All'ombra della "Colonna Mozza" eretta dopo la guerra, si possono scorgere ancora i resti di gavette, di reticolati, di schegge d'ordigni. Sotto la prima coltre di terra è possibile trovare qua e là i frantumi d'ossa umane di quegli sventurati.
Non a caso la neonata Associazione Nazionale Alpini volle indire nel 1920, sul Monte Ortigara il primo Convegno/Congresso, ricordando così chi non era più tornato.

Renzo Sossai