GIUSEPPE PRISCO, GRANDE ALPINO, GRANDE UOMO


Giugno 2002

IL RICORDO


Da sx: Ennio Da Re, Renato Brunello, Giuseppe PRISCO, Gabriella Dal Moro e Lino Chies.

Ebbi il piacere e l'onore di incontrare alcune volte l’avvocato GIUSEPPE PRISCO, l’Alpino per antonomasia, medaglia d’argento al V.M., Reduce di Russia, l’amico sincero, cordialmente e simpaticamente arguto, scambiando con Lui opinioni su diversi argomenti.
L'ultima volta che Lo vidi fu a settembre dello scorso anno al Raduno annuale al Bosco delle Penne Mozze a Cison di Valmareno, dove ne fu l’oratore ufficiale (vedi Fiamme Verdi di dicembre 2001), e, prima che facesse ritorno a Milano, Gli consegnai una copia del nostro periodico, invitandolo a posare per una fotografia con alcuni amici alpini.
Quando seppi del Suo decesso rimasi profondamente addolorato, mi parve d’aver perduto una caro amico.

Ai familiari gli Alpini di Conegliano rinnovano il più profondo cordoglio.
Meglio del sottoscritto ne parla lo scrittore-giornalista Giovanni LUGARESI in un articolo apparso nel “Il Gazzettino”, e che riporto qui di seguito.

Renato Brunello

DA ALPINO DELLA JULIA IN RUSSIA
L’AMORE SACRO PER LE PENNE NERE

In quell’ormai lontano 18 settembre 1993, sulle rive del Don, come a Cima Pisello, a un centinaio di chilometri da Nikolajewka, Giuseppe Prisco si aggirava solitario, il vecchio cappello con la penna nera ben calcato in testa, e uno sguardo come sperduto, più che nello spazio, nel tempo.
Rivedeva probabilmente i suoi vent’anni di ufficiale del 9° Alpini del battaglione L'Aquila della Julia; rivedeva i giorni tragici della ritirata; rivedeva la salvezza, il ritorno in patria.
Quel giorno di vigilia dell’inaugurazione dell’asilo nido-scuola materna che l’Ana aveva progettato, finanziato, costruito con le braccia dei suoi volontari, e quindi donato alla città di Rossosch nel cinquantesimo della battaglia di Nikolajewka, appunto, Prisco era là, insieme ad alcune migliaia di penne nere, insieme a qualche decina di reduci della campagna di Russia, con la sua medaglia d’argento appuntata sulla giacca, e un mare di ricordi nel cuore.
Nel viaggio di ritorno, sull’aereo che da Mosca ci avrebbe riportato a Bergamo, si scherzava sull'Inter, sul calcio, sul suo essere tifoso sfegatato della squadra nero-azzurra. E a noi che gli chiedemmo se fosse più forte il suo amore per gli alpini o quello per l’Inter, si fece serio e senza tentennamenti disse che quello per gli alpini era il primo e il grande amore («l'amor sacro») della sua vita: quello per i nerazzurri veniva dopo (era «l’amor profano»). La stessa risposta che proprio alla vigilia del suo ottantesimo compleanno (il 9 dicembre scorso) ha dato a Riccardo Signori in un’intervista per “il Giornale”. Ed è stato quello di Giuseppe (“Peppino”) Prisco per le penne nere un amore testimoniato in tantissime occasioni. Perché, lui, l’avvocato di grido, il dirigente sportivo notissimo al grande pubblico (anche per via delle caricature fattene in tv nei pomeriggi calcistici domenicali) sentiva di doversi spendere per l’Associazione nazionale alpini, della quale era uno dei personaggi più rappresentativi.
Fra i suoi interventi recenti, va ricordata la commemorazione di Giulio Bedeschi (il celebre autore di “Centomila gavette di ghiaccio”) tenuta nel decennale della morte a Milano, e la presenza, la prima domenica del settembre scorso a Cison di Valmarino (Treviso) nel “Bosco delle Penne Mozze” a ricordare i caduti, gli alpini «che sono andati avanti».
Si spendeva per gli alpini in tempo di pace, insomma, come il suo dovere e il valore militare aveva dimostrato in tempo di guerra: «l’amor sacro» per le penne nere, dunque, l’ha testimoniato sino alla fine dei suoi giorni.