. . .NIKOLAJEWKA
29 gennaio 1943


Aprile 1997

Sono ormai passati più di 50 anni dal giorno in cui i resti di quel che era il Corpo d’Armata Alpino riuscirono a svincolarsi, dopo una tragica ed estenuante lotta contro i reparti sovietici, convinti questi ultimi che ormai la sacca del Dono avrebbe chiuso la sua tenaglia sui superstiti delle Divisioni Alpine, sfinite dai numerosi combattimenti affrontati durante la ritirata nella steppa, nonché dal gelo che implacabilmente annientava e uccideva senza tregua (la temperatura, in quei giorni oscillava tra i 38 e i 44 sotto zero).

Ricordo tutti i particolari in modo nitido e davanti agli occhi vedo ancora i mucchi di Alpini morti congelati, nelle più strane posizioni e formanti blocchi cui il gelo aveva dato una patina e una consistenza, rendendoli simili a macabri monumenti della steppa.

Raccontare il fatto d’arme di Nikolajewka non è facile, ma proverò a ricordare con qualche accenno gli episodi più salienti di quel memorabile 26 gennaio 1943.

Dopo lo fondamento del Fronte, avvenuto mediante l’aggiramento di carri russi che giunsero fino a ROSSOSCH e quindi alle spalle dello schieramento italiano, le Divisioni Alpine, imbattute fino allora sul fronte del Don da loro presidiato, ricevettero l’ordine di ripiegare e concentrarsi a POPOWKA e quindi PODGORNOJE, sede questa dell’alto Comando, evacuata in fretta dai tedeschi e nel cui caos indescrivibile di scoppi e incendi in ogni direzione, il gen. NASCI, comandante del Corpo d’Armata Alpino prendeva la decisione di ripiegare nella steppa in direzione ovest sperando di raggiungere i capisaldi tedeschi destinati a fermare o almeno rallentare l’avanzata dei reparti sovietici. Pertanto, la TRIDENTINA essendo al momento la Divisione più efficiente, parte in testa alla colonna in ripiegamento, affiancata da alcuni carri blindati e due autoblinda tedesche unitesi nel frattempo, seguono tutti gli altri reparti con muli e slitte che cercano di trascinare munizioni e materiale per quanto possibile nella direzione di marcia. Ma mentre sul Don gli Alpini erano fortemente trincerati nei bunker da loro stesi costruiti, qui ora si era tutti allo scoperto e in condizioni a dir poco disastrose. Le slitte troppo cariche, materiali abbandonati già da subito, ordini e iniziative dei vari Comandi, a tutto raggio, ma poco precise e inconsistenti.

In questo trambusto il battaglione “Pieve”, al comando del Magg. Catanoso, punta su WALUIKI, quale obiettivo immediato e poco dopo il Comando del gen. NASCI riesce a captare la notizia che WALUIKI è stata ormai occupata dalle truppe russe. Il comandante del Corpo Alpino di concerto con l’Ufficiale tedesco che comandava il gruppo dei carri blindati, rimasti accanto ai Reparti della Tridentina, decidono di cambiare direzione puntando immediatamente su NIKOLAJEWKA e sperando di arrivarvi prima dei russi. Viene trasmesso l’ordine al PIVE di cambiare direzione, ma il messaggio non arriverà mai, per cui il battaglione continua la sua marcia che lo porterà proprio in braccio alle truppe sovietiche colà appostate.

Così, il Battaglione “PIEVE DI TECO” che con brillante azione aveva contrastato vittoriosamente le truppe sovietiche schierate a Sud di POSTOJALYI, permettendo ai nostri reparti ammassati nella zona di POPOWKA e OPIT di sganciarsi e defluire verso ovest, quando, dopo una faticosa e contrastata marcia, giunge in vista di WALUIKI, viene attaccato da preponderanti forze sovietiche e dopo una vana e sanguinosa resistenza viene sopraffatto e costretto alla resa.

Intanto, dopo POSTOJALYI, la colonna al comando del Generale NASCI, con alla testa i reparti della Tridentina, per fortuna ancora armati ed efficienti, inizia il suo calvario addentrandosi nella neve alta della steppa, fuori dai tracciati stradali, meta questa ormai incontrastata delle scorribande dei carri armati russi, in direzione ovest, con l’obiettivo di raggiungere Nikolajewka.

Così, attraversando paesi sperduti e lottando con tutte le forze contro le imboscate dei reparti sovietici, sempre appostati sul cammino della colonna che veniva loro segnalata di volta in volta dagli aerei in ricognizione, la eroica Divisione Tridentina, seguita da migliaia di sbandati con slitte sempre più cariche di feriti e congelati, prosegue la sua marcia, interrotta spesso da rapidi e sanguinosi combattimenti, per conquistare piccoli paesi sperduti nella steppa onde consentire qualche ora di tregua e ripararsi nelle isbe per combattere il vento gelido della notte, mentre la temperatura scende a meno 40° sotto zero mietendo vittime a più non posso fra quei poveri esseri ridotti allo stremo, a cui la speranza di poter uscire dalla sacca centuplica le forze per resistere e proseguire verso ovest, verso il ritorno... alle proprie case; l’istinto di conservazione fa il resto.

Frattanto la colonna si è ingrossata via via inglobando reparti sbandati di ogni specie: ungheresi, tedeschi, fanti della Divisione Vicenza. Tutti reduci dai tratti di fronte squinternati e superati dai mezzi corazzati sovietici. L’enorme serpente nero che si snoda sul biancore abbacinante della steppa conta molte decine di migliaia di uomini, protesi, con tutte le forze residue verso un sogno di liberazione che si fa sempre più aleatorio.

Il 25 gennaio, in serata, si giunge finalmente a NIKITOWKA, paese abbastanza grande dove la colonna si sparpaglia nelle numerose isbe e sosta per la notte al riparo dal gelo che morde senza pietà. Si è levato anche il vento. La notte passa senza altri inconvenienti.

La mattina del 26 gennaio, molto presto via da Nikitowka in mezzo a spari di ogni sorta. La colonna parte e i ritardatari vengono fatti segno a raffiche di parabellum dai partigiani, numerosi e ben armati che li fanno quindi prigionieri. Molte sono le perdite e intanto la testa della colonna è nuovamente ferma per la forte resistenza che incontra ad ARNAUTOVO. Stop e nuovo combattimento. Con l’EDOLO in testa avanti i pezzi anticarro e finalmente si riesce a passare e puntare su NIKOLAJEWKA, ormai vicina. Avanti subito il TIRANO e il VESTONE all’attacco. Come l’EDOLO ad Arnautovo, così ora i due battaglioni combattono accanitamente, ma i russi sono schierati oltre il terrapieno della ferrovia e resistono efficacemente. Arrivano a dar man forte gli artiglieri del Valcamonica col Maggiore Belotti e in un primo tempo gli Alpini avanzano e si spingono fra la Chiesa e il trincerone della ferrovia, ma sono tosto fermati da un contrattacco immediato; ora vacillano e retrocedono verso le slitte che hanno dietro e intanto in questi primi scontri sono già molti i caduti e fra loro il Generale Martinat e molti Ufficiali.

A questo punto, con la disperazione nel cuore, sentiamo tutti lo sgomento di non poter passare. Intanto nel frattempo si è fatta sera, alle sedici è già buio e la temperatura si è ancora abbassata (siamo oltre i 40° sotto zero). Pensiamo che dovremo crepare tutti qui, proprio sulla porta della salvezza. Ma la speranza ancora non ci abbandona mentre attendiamo, sotto il grandinare di colpi dei mortai russi, che avvenga l’inevitabile. In testa c’è ancora il vecchio carro blindato tedesco che si era unito all’EDOLO nel combattimento di Arnautovo. Il Generale Reverberi, comandante della Tridentina, non vuole arrendersi assolutamente alla malasorte e continua a sacramentare.

Improvvisamente salta sul carro e così in piedi urla e incita i suoi Alpini perché lo seguano e puntino su Nikolajewka, costi quel che costi. - Tridentina avanti -grida e mentre il carro inizia la corsa verso le postazione russe più vicine, continua a incitare, miracolosamente illeso dalle numerose pallottole che sibilano in tutte le direzioni. Gli Alpini spronati dall’esempio del loro Comandante scattano ancora all’attacco con rabbia inaudita e avanzano fra le case sorprendendo i russi, mentre alla loro spalle il grosso della colonna, che sostava sul costone della balka in attesa di poter passare, li spinge, li incoraggia gridando e tutto a un tratto si scatena con furia cieca e scende in massa urlando, simile all’acqua di una diga infranta, travolgendo le posizioni dei russi i quali, spaventati da quel dilagare prorompente di uomini e slitte gettati allo sbaraglio, abbandonano i pezzi in postazione e fuggono nel bosco.

Così siamo entrati in NIKOLAJEWKA!

E mentre la Tridentina spinge i suoi reparti nel varco, sfruttando la sorpresa e proseguendo oltre per non essere agganciata ancora da un eventuale contrattacco di ritorno, la colonna si disperde nella balka cercando riparo nelle isbe, per fortuna numerose; ognuno ormai deve lottare per non morire, contro il gelo tremendo; la temperatura è ancora scesa e si è levato il vento gelido della notte che non perdona. Chi non riuscirà a trovare un buco in qualche isba per passare la nottata, domani sarà assiderato e sarà uno dei tanti mucchi scuri che rompono il biancore della steppa.

Questa, per quanto ne so io, è stata NIKOLAJEWKA.

Umberto Quattrino