I DIRITTI RICHIAMANO I DOVERI


Dicembre 1989

Avanziamo più diritti che doveri? Il problema è delicato e provocatorio, e riserva inquietanti giudizi, per i contrastanti indirizzi.
Negli ultimi anni non sentiamo che parlare di diritti. Ci sono i diritti dell’uomo, i diritti della donna e della loro libertà (scelta!), i diritti del lavoratore, e persino i diritti del teleutente, dell’obiettore fiscale e dell’obiettore di coscienza, tanto per citarne alcuni fra i più o meno importanti: l’esistenza dei quali è sacrosanta. Però stiamo attenti alla loro etimologia, in una traduzione coerente. Per esempio vediamo che cos’è la «coscienza». Essa è «La facoltà immediata di avvertire, comprendere, valutare i fatti che si verificano nella sfera dell’esperienza individuale o si prospettano in un futuro più o meno vicino. Nel linguaggio comune è la valutazione morale del proprio agire, spesso intesa come criterio supremo della moralità». E’ sempre così per coloro che pretendono questo diritto? Auguriamocelo: noi abbiamo dei dubbi.
Ma non è sull’esistenza dei diritti che verte principalmente
il nostro argomento, non è sulla loro imprescindibile tutela. Quanto invece sull’oblio, più o meno assoluto, di un’altra parola molto in uso nel passato: DOVERE.
Farà certamente ridere parlare di «passato», dei «nostri tempi»: dovrebbe far ridere molto meno, specialmente se si hanno i capelli grigi, sentire parlare di «doveri».
Già, perchè fra i doveri, una volta, c’erano quelli di educare (specie con l’esempio) i figli per i genitori; di educare gli alunni per gli insegnanti; di rispettare chiunque, in particolare i più deboli. Oggi invece, la parola è stata cancellata dal nostro lessico quotidiano: i figli vanno per conto loro ancora prima dell’uso della ragione; gli studenti hanno ereditato dai padri dell’evoluzione di vent’anni fà una comoda certa allergia...; i deboli sono diventati vittime normali dell’arroganza dei più forti.
Ci sono molti motivi che dovrebbero muovere il nostro sdegno in questi tempi, e tutti molto dolorosi. La violenza esercitata sui minori all’interno della stessa famiglia; l’abbandono al proprio destino degli anziani; gli sconcertanti episodi di giovani posti a salvaguardia dei cittadini, che viceversa vengono coinvolti nel degrado morale e civile.
Fatti che hanno diversa incidenza sociale, ma che anche mettendo a fuoco il drammatico vuoto lasciato dalla scomparsa della parola «dovere».
Il dovere del genitore; il dovere del medico, il dovere di chi tutela l’ordine e la legge; e per noi anche il giovane che adempie il dovere della costituzione, con un servizio sereno di vita militare. Sono doveri che impone il vivere civile, non pesanti, non gravosi, addirittura compensativi nella durezza del vivere quotidiano.
Quale soddisfazione più profonda di un genitore, che guarda il suo bimbo sorridente e sereno; quale soddisfazione più consapevole di un medico, che dona la vita; quale soddisfazione più orgogliosa di un tutore della legge, che si sacrifica per essere fedele alle sue promesse; quale soddisfazione fiera di un giovane, che indossando un’ordinata divisa, magari con il cappello e la penna, sa essere un potenziale componente di difesa della propria Patria, del proprio Paese e della propria Famiglia! E invece non è sempre così:
in ossequio al «diritto» del benessere personale e del cosiddetto «edonismo».
Ris chiamo quindi dire, che, il primo o uno dei primi dei meccanismi perversi, è quello che ha cancellato la parola «dovere». E’ una parola scomoda per la società dell’agitazione, della contestazione, dell’egoismo, ma soprattutto del troppo benessere.
Fa senza dubbio più comodo, è molto più entusiasmante, è molto più promettente quell’altra parola «diritto». La sentiamo urlare ovunque, con calore, quasi con rabbia, nelle piazze e nelle piccole o grandi sale. Ci ha riempito gli orecchi:
ci ha quasi convinti che nella società, nella vita, conta solo quello che si deve avere. Conta poco o niente quello che si deve dare. Siamo certi, senza fare gli sbruffoni, che gli Alpini, pur consci dei loro diritti, hanno conosciuto, conoscono e conosceranno il valore della dizione «DOVERE».

RENATO BRUNELLO