MEDAGLIE D'ORO


Aprile 1967

Le Medaglie d’Oro del Montello

a cura di M. ALTARUI

La battaglia del Montello, combattuta tra il 15 e il 23 giugno del 1918, ebbe il vittorioso esito di schiudere la via di Vittorio Veneto anche per merito del tenente generale GIUSEPPE VACCARI comandante del XXII Corpo d’Armata.
Nato a Montebello Vicentino nei 1866, Vaccari combattè in Libia ove si meritò una medaglia d’argento, un encomio solenne, la croce di cavaliere dell’Ordine militare; rientrò nel luglio 1916 e, al comando della brigata Barletta, combattè a Castagnevizza meritandosi la promozione a generale per merito di guerra e due medaglie d’argento: una per le sue imprese tra l’1 e il 3 novembre 1916, e la seconda (pure a Castagnevizza) per l’opera svolta dal 23 al 24 maggio 1917; la motivazione di questa decorazione venne fusa con quella della medaglia d’oro meritata sui Monte o e che qui riproduciamo:
«Di fronte ad una gravissima e minacciosa situazione verificatasi nel settore del Corpo d’armata ai suoi ordini, lasciato il suo posto di comando si portava risolutamente tra le oscillanti ondate delle fanterie infiammandole con la vibrata parola ed al fulgido esempio del più sereno sprezzo del pericolo le lanciava ad impetuoso attacco contro il nemico già imbaldanzito, risolvendo col suo personale intervento ed a favore delle nostre armi, le sorto dell’aspra giornata. In una precedente circostanza (Castagnevizza, maggio 1917 n.d.r.), comandante di una brigata, dopo aver condotto due volte brillantemente le proprie truppe alla conquista dell’obbiettivo assegnatogli, in un momento critico del ripiegamento interveniva prontamente ed energicamente con i mezzi a disposizione fermando e riconducendo ai combattimenti militari dispersi e fuggiaschi al grido di Viva l’Italia!»
Insignito dell’onorificenze di Ufficiale dell’Ordine militare per l’opera svolta sull’altipiano carsico dal luglio al settembre 1917 quale Sottocapo di Stato Maggiore della III Armata, il generale Vaccai ebbe l’elevata onorificenza di Grande Ufficiale dello stesso ordine per la conclusiva battaglia di Vittorio Veneto.
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L’attacco al Montello da parte delle truppe avversarie ebbe inizio il 15 giugno, preceduto da un bombardamento di artiglierie particolarmente concentrato sull’ansa di Falzè; lancio di gas lacrimogeni ed asfissianti alle ore 6, seguito dall’avanzata del 13° battaglione d’assalto austriaco mentre altri reparti completavano le operazioni di passaggio del Piave favorite da un denso strato di nebbia.
La nostra 58° divisione, agli ordini del generale Gandolfo, dovette soccombere di fronte all’irruenza delle preponderanti forze avversarie formate da ungheresi, rumeni, cecoslovacchi e in minor numero da tedeschi e polacchi; dopo la caduta della nostra prima linea venne pure sfondato il fronte della brigata «Lucca» a Casa Serena, e il nemico raggiunse presto Giavera e Bavaria: nei pomeriggio le divisioni austro-ungariche (31°, 13° e 17°) avevano completato il passaggio del Piave irrompendo su Nervesa, S. Angeli e Sovilla. A Villa Berti di Nervesa il nostro 111° Reggimento della Piacenza» continuava a resistere disperatamente.
Il 7° gruppo bombarde si era già sacrificato durante il mattino: era comandato dal capitano ANNIBALE CARETTA, dei cavalleggeri di Monferrato, nativo di Alessandria, che cadde colpito da una pugnalata alla gola dopo una furibonda lotta contro l’avversario travolgente: venne decorato con la medaglia d’oro cor la seguente motivazione:
«Comandante di un gruppo di bombarde, serbato e votato a sicuro sacrificio, sentendo appressarsi al suo posto di combattimento le prime avvisaglie della invasione nemica, volle magnanimamente condividere la sorte già certa delle sue batterie. Consegnato alla sua ordinanza l’ultimo scritto della sua ferma mano, perchè lo portasse a destinazione, attese diritto, con la rivoltella in pugno gli assalitori. Cadde colpito a morte dopo fulminea lotta, soverchiato dal numero, ma avendo vinto la inesorabilità del fato con la bellezza del suo sacrificio».
Con Annibale Caetta caddero altri due capitani, diciasette ufficiali subalterni e 246 uomini di truppa.
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Contemporaneamente il tenente del 36° raggruppamento di obici pesanti campali, comandante una sezione della terza batteria, ANTONIO NINO GOFUNI, malgrado l’intenso fuoco nemico che colpiva in pieno due pezzi, riusciva a rimetterne uno in efficienza. Attaccata la batteria alla baionetta da parte del nemico la difese col moschetto e cadde ucciso tra le braccia del proprio capitano a cui cercò far scudo col proprio corpo: questa la motivazione della medaglia d’oro conferitagli alla memoria, dopo aver meritato una medaglia di bronzo combattendo a quota 611 del Monte Kuk nel 1917.
La reazione italiana si andò potenziando ed organizzando verso le 17,30 di quel 15 giugno: la stremata 58° divisione venne rinforzata da truppe del 27° Corpo d’Armata e dalla 48° divisione. Giavera venne tolta al nemico dal 2° squadrone Lancieri di Firenze; l’impulso nemico dovette allentarsi, ma il consuntivo della giornata rimase gravissimo.
Il successivo giorno, ancora piovigginoso, il nemico completò il traghettamento delle riserve delle tre divisioni già operanti sul Montello.
Villa Berti resistette ancora contro i reiterati attacchi; qualche successo venne ottenuto con la rioccupazione di quota 127 e il consolidamento di alcune posizioni.
Durissima fu la lotta a Casa Rossa - presso Santi Angeli - dove le forze nemiche furono in proporzione di sei contro uno; s’immolò in questa occasione il capitano di fanteria ELIDIO PORCU che dal giorno innanzi fronteggiava l’avanzata con i suoi fucilieri di Sardegna; all’eroico capitano - che era nato a Quartu (Cagliari) nel 1894 e che aveva in precedenza combattuto sul Col di Lana, sul Falzarego e sul Grappa meritandosi la medaglia d’argento sul Valderoa il 17 dicembre 1917 - venne conferita la massima ricompensa al valore militare alla memoria costante impareggiabile esempio di salde virtù militari quale comandante di una compagnia, per due giorni consecutivi con fulgida tenacia fronteggiava il nemico irrompente, contenendolo, infliggendogli perdite e animando, instancabile ed ardente di fede, il proprio reparto ad una resistenza incrollabile. Avuto l’ordine di attaccare, trascinava la propria compagnia con irresistibile slancio fin sulle posizioni avversarie sgominando forze di gran lunga superiori. Ferito ad una gamba e circondato s’immolò con il grido di Viva l’Italia; al suo nome venne intitolato il cimitero militare di SS. Angeli del Montello.
La dura giornata del 16 giugno si concluse con un nuovo inutile attacco del nemico contro Villa Berti e con la persistente resistenza, sulla cresta del monte, del 95° reggimento di fanteria e della gloriosa brigata «Reggio».
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Il 17 giugno piovve quasi continuamente: si ebbero nuovi assalti contro Villa Berti e specialmente contro la linea ferroviaria Montebelluna-Nervesa lungo la quale, in località S. Mauro, vigilava il 79° battaglione zappatori che ebbe l’onore di venire citato nel bollettino del Comando supremo; fu durante una infiltrazione di austriaci che stavano piazzando una mitragliatrice, che il comandante di detto battaglione, il maggiore MARIO FIORE cadde colpito mortalmente mentre si slanciava per catturare l’arma. Alla memoria di questo eroico comandante (nato a Napoli nel 1889 ed encomiato combattente di Libia) venne conferita la medaglia d’oro al valore militare, così motivata:
«Fulgida figura dì soldato, ardente di patriottismo, fu costante esempio di abnegazione ai suoi dipendenti sui quali ebbe sempre sicuro ascendente. Comandante di un valoroso battaglione zappatori del genio, accorse in linea con le fanterie in momenti gravi della battaglia e cosciente sprezzo del pericolo, esemplare mantenendo salda ed invitta la resistenza del suo reparto. In un pericoloso infiltrarsi di mitragliatrici nemiche trascinò a pronto ed impetuoso contrattacco quelli che lo circondavano e cadde colpito al cuore. Ancora nell’ultimo gesto incitava i suoi a quella resistenza che fu dalla magnifica vittoria coronata».
A ricordo di Mario Fiore è pure stato eretto un masso presso il casello ferroviario n. 11 al passaggio a livello della rotabile che da Bavaria conduce ad Arcade.
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Il cielo si fece sereno il 18 giugno, ma già dalle prime ore della notte la pressione nemica si appesantì; alle 3,30 un fortissimo attacco contro Villa Berti, preceduto da un implacabile bombardamento, infranse il nostro caposaldo stremato da quattro giorni di resistenza.
Alle ore 14 giunse a rinforzo il 5° reggimento fanteria della brigata «Aquila»; alle 16,30 i nostri reparti tentarono l’avanzata ma dovettero rientrare per la dura reazione avversaria; alle 19 affluirono nuovi rinforzi e si ripeterono i tentativi; un contrattacco nemico venne infranto; alle 22 gli austriaci vennero fermati davanti a Giavera e a Bavaria: alle 23 il nemico era bloccato anche nel tratto Casa Loredan-Busa delle Rane.
Si concluse in quel giorno la vita breve ed eroica del tenente dei bersaglieri IVO LOLLINI, della classe 1897, nato a Castel d’Aiano (Bologna) e che si era meritato un encomio solenne nell’agosto del 1917 per il coraggio con cui aveva guidato una pattuglia di arditi. Durante la ritirata sul Piave era stato gravemente ferito e fatto prigioniero; era riuscito poco dopo a fuggire e a rientrare, e - appena guarito - nel gennaio del 1918 si era meritato la medaglia d’argento sul Monte Valbella.
L’eroismo di Lollini si ripeté elevatissimo fin dal primo giorno di battaglia sul Montello; la motivazione della medaglia d’oro conferitagli alla memoria (Sovilla - Casa Pin, 16-18 giugno 1918) ricorda che in una prima azione, dando prova di perizia e di coraggio mirabili, distruggeva e costringeva alla resa numerose mitragliatrici avversarie. Procedendo innanzi con la sua sezione ricuperava due nostre batterie cadute nelle mani del nemico e ricevuto ordine di ripiegare si ritirava per ultimo. Due giorni dopo dava nuove fulgide prove di eroismo snidando il nemico che ostacolava l’avanzata delle nostre truppe. Caduti alcuni dei suoi serventi ed avute inutilizzate le armi, con una decina di superstiti si slanciava all’assalto; rimasto con pochissimi uomini continuava a combattere accanitamente. Circondato dai nemici, rifiutava dì arrendersi, finché colpito a morte esalava sul campo la sua anima eroica.
Il tempo fu, atmosfericamente, sereno anche il 19 giugno quando il comando supremo intese decidere le sorti della battaglia su tutto il fronte.
Durante la mattinata le nostre artiglierie furono in azione, intensificata nelle prime ore del pomeriggio; alle ore 15 iniziarono le operazioni contrastatissime dal nemico e il generale Vaccari si portò nuovamente in mezzo alle truppe per rincuorarle malgrado la supremazia numerica dell’avversario. I combattimenti, specie tra Casa Fornace e Villa Berti, continuarono tutta la notte; il nemico dovette indietreggiare alquanto nell’intero fronte d’attacco.
Innumerevoli furono gli atti di valore compiuti quel giorno che anche Baracca non vide tramontare.
La medaglia d’oro (Nervesa, 15 - 19 giugno) venne conferita alla memoria del tenente di fanteria GIUSEPPPE MANCINO che per quattro giorni consecutivi di strenua lotta fece prodigi di valore col reparto arditi del reggimento, validamente contribuendo ad arginare una irruzione nemica, finché lasciò la vita sul campo sacrificandosi in un ultimo assalto con i suoi prodi per proteggere i compagni che ripiegavano; palermitano, della classe 1888, Mancino si era guadagnata la medaglia di bronzo per la riconquista di una trincea a Vertoiba alla fine di gennaio del 1917.
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Verso sera cadde anche il tenente del 39° fanteria GUIDO ALESSI (brigata «Bologna» decorato di medaglia d’oro così motivata: «volontario di
di guerra, prese parte ad importanti azioni, animato sempre da grande entusiasmo ed amor di Patria. Sebbene febbricitante, volle partecipare ad una importante azione, ove, con sommo sprezzo del pericolo, fu sempre fra i combattenti nei momenti più pericolosi della lotta. Trovatosi presso una compagnia assai provata, della quale era caduto il comandante, assumeva il comando del reparto e ne incorava gli uomini, incitandoli a vendicare il loro capitano, poscia li lanciava all’attacco. Spintosi quindi arditamente in ricognizione fra le linee nemiche, attraverso terreno insidiosissimo, fra il violento fuoco di numerose mitragliatrici, riusciva a segnalare in tempo un movimento aggirante sul fianco destro, sicché fu possibile sventare la mossa.
Ripetutamente colpito da una raffica di mitragliatrice, cadeva gloriosamente sul campo, gridando «Non pensate a me, avanti sempre, per la grandezza d’Italia; compagni, oggi abbiamo vendicato Caporetto».
Montello, 19 giugno 1918.
Alessi era nato a Roma nel 1890 e aveva partecipato alla guerra italo-turca in Libia; laureato in legge, allo scoppio della guerra mondiale era funzionario di Pubblica Sicurezza e avrebbe potuto ottenere l’esonero; volle invece arruolarsi col suo grado di sergente partecipando alle azioni sul Col di Lana e ottenendo la promozione a
sottotenente; nel 1917 era stato promosso tenente ricevendo l’incarico di aiutante maggiore in 2° del 39° Fanteria.
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Già decorato di medaglia di bronzo sull’Isonzo, il tenente di fanteria EMILIO BONGIOVANNI - nato a Torino nel 1898 - meritò la medaglia d’oro sul Montello lo stesso 19 giugno, quando alla testa del proprio plotone, precedendo il battaglione si slanciava decisamente all’attacco di posizioni fortemente munite che in pochi minuti conquistava ed oltrepassava. Venuto alla lotta corpo a corpo con l’avversario e ferito in più parti da schegge di bomba, incurante del dolore, sempre alla testa dei suoi uomini continuava ad avanzare. In un secondo sbalzo, combattendo contro nuclei nemici che invano tentavano fermare l’irruenza e l’impeto dei suoi soldati, rimasto ferito una seconda volta, medicatosi alla meglio continuava a combattere. Sereno, calmo e sorridente davanti al pericolo sempre esposto in mezzo ai suoi, fulgido esempio di tenacia e valore, colpito per la terza volta ed a morte cadde gloriosamente sul campo.
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Il 20 giugno, con cielo coperto e pioggia, gli austriaci fecero affluire nuove riserve sul Montello e rinnovarono ferocemente gli attacchi verso Nervesa che pervenne nuovamente in loro possesso.
E fu a Nervesa che cadde il sottotenente del 68° Fanteria MAURILIO BOSSI - medaglia d’oro - che durante quattro giorni di aspro combattimento, dopo aver trascinato più e più volte all’attacco di Nervesa i suoi soldati con la nobiltà dell’esempio e con l’ardore del suo eroismo, essendo venuto meno per ferite il comandante della compagnia, rimasto solo ufficiale, di fronte al nemico che incalzava
in forze soverchianti, raccoglieva i pochi superstiti e con essi si slanciava
in un ultimo disperato assalto Sopraffatto e circondato l’esiguo manipolo
di prodi, rifiutava di arrendersi e si difendeva fino all’ultimo con la pistola
in pugno finché cadde da eroe colpito dai pugnali nemici
. Nato a Saronno
nel 1897, Bossi era ragioniere e studente dell’Università Bocconi di
Milano.
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Le nostre truppe iniziarono a guadagnare progressivamente terreno verso ovest della linea di combattimento, avvicinandosi allo sperone che domina Falzè.
Occorsero ancora molti eroismi e sacrifici; altre due medaglie d’oro premiarono due valorosi della brigata «Lombardia»: il maggiore del 73° reggimento LUIGI LAMA e l’aiutante in 2° del 74° reggimento sottotenente UMBERTO SACCO.
Il magg. Lama Ufficiale di preclare virtù, saputo che il suo battaglione era impegnato in una azione, interrompeva volontariamente la licenza invernale appena iniziata, per accorrere al suo posto d’onore e di pericolo. Assunto il comando del battaglione in circostanze particolarmente critiche, riusciva con singolare perizia e con l’ascendente del suo valoroso esempio a trascinare all’assalto truppe già scosse, ed a giungere per primo sulla tanto contesa posizione nemica ove cadde trafitto al cuore da baionetta austriaca. Di famiglia romagnola, Luigi Lama era nato ad Aosta nel 1891 ed era stato precedentemente in Libia e in Eritrea.
La dodicesima medaglia d’oro del Montello è il sottotenente Umberto Sacco, e la motivazione (datata Montello, 10-20 giugno) lo ricorda aiutante maggiore in seconda, benché febbricitante, volontariamente sostituiva il Comandante di un reparto lancia-torpedini rimasto ferito in cruenta lotta contro una mitragliatrice avversaria e, con sereno sprezzo del pericolo, slanciatosi all’attacco, la catturava facendo tredici prigionieri fra cui un ufficiale. Il giorno seguente, sempre febbricitante, con mirabile ardimento e saldo cuore prodigò se stesso con la parola e con l’esempio ovunque più aspra fu la lotta e più gravi le perdite, infiammando i soldati e trascinandoli all’assalto.
Avuta spezzata la rotula del ginocchio destro ordinava ai soldati che lo trasportavano di lasciarlo ed accorrere in aiuto al comandante di battaglione che vedeva in pericolo di essere catturato ma, rimasto solo, fu a sua volta assalito da una pattuglia nemica. Fieramente impegnava con essa combattimento sostenendolo fino all’estremo. Veniva di poi raccolto col moschetto in pugno e crivellato di proiettili
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Il successivo 21 giugno gli attacchi nemici cominciarono ad affievolirsi di intensità e potenza, mentre le nostre artiglierie e l’aviazione accentuavano l’opera di interdizione allo scopo di isolare le truppe austro-ungariche a sud del Piave; in mattinata venne riconquistata la roccaforte di Villa Berti; durante la notte iniziò il ripiegamento delle riserve avversarie oltre il fiume.
Il 22 giugno rimanevano sul Montello solo le truppe avversarie in linea con l’ordine di ripiegare appena possibile.
Il 23 giugno - ultima giornata della Battaglia del Solstizio - il nemico continuò la sua ritirata iniziata durante la notte; a mezzogiorno la cresta del Montello venne riconquistata dalle nostre truppe: alle ore 14 fu la volta di Nervesa; alle ore 20 il bollettino di guerra comunicava che «dal Montello al mare il nemico, sconfitto ed incalzato dalle nostre valorose truppe, ripassa in disordine il Piave».
Abbiamo già ricordato che sul Montello - bagnato dal sangue di soldati provenienti da ogni regione d’Italia - vennero assegnate 910 medaglie d’argento; imprecisato ma elevatissimo il numero delle altre ricompense al valore militare.
Altrettanto eroici furono i bravi contadini montelliani i quali provvidero alla mietitura del grano insanguinato malgrado l’imperversare della battaglia, spesso aiutati dagli stessi combattenti: come ben disse D’Annunzio, con la sua prosa talvolta tronfia ma che meriterebbe di esser ancor oggi maggiormente capita, quella del Montello è stata veramente la battaglia delle falci e delle baionette.

(continua)