LA SCIARPA DEL CADUTO


Agosto 1966

In questi caldi giorni d’agosto m’è affiorato alla mente il ricordo di una sciarpa.
All’approssimarsi dell’inverno di qualche anno fa, venne al mio ufficio una donnetta con un aspetto da mendicante; ne ricordavo i lineamenti e i modi gentili quando era una delle signore più ossequiate della città. Moglie di un funzionario dello Stato (allora stavano bene gli statali), io ero un ragazzino quando la vedevo passare ostentando un po’ altera l’agiatezza - onestamente raggiunta - della sua
famiglia della quale però emergeva, più che la sicurezze economica, il profondo e sincero affetto che tutta l’univa.
Giunse la guerra: il marito della donna - ufficiale superiore - partì; anche il figlio maggiore - ufficialino quasi imberbe - partì e dalla Russia non tornò più. La sconosciuta fine del figlio e la disperazione della madre spaccarono il cuore al capo della famiglia.
Rimasta sola, con i figli più piccoli «da tirar sù», la signora impoverì anche economicamente nella tenace volontà di dar loro un diploma o quella laurea che il figlio perduto era giunto a sfiorare prima di venire ghermito dalla steppa.
Al tempo dell’incontro il figlio minore era prossimo a conseguire la laurea e si trovava costretto a lasciare il saltuario lavoro di camionista col quale si guadagnava il poco per sopravvivere e per sopperire alle occorrenze dello studio.
Ora l’avevo piangente di fronte a me questa madre che nascondeva confusa m dignitosa le toppe del misero cappotto liso che oltre venticinque anni or sono significava un’eleganza invidiata; un paio di grezze calze di cotone fatte in casa, un paio di scarpe forse scartate da qualche mendicante esigente, un gran fazzoletto grigio legato sotto il mento a maggiormente occultare il dolore ma anche per nascondere i capelli ingialliti che in un tempo lontano eran riccioli evidenziati dai cappellini alla moda con la veletta cadente sugli occhi.
Chiedeva aiuto, fraternità, non la carità; e un po’ d’aiuto glielo potei dare, ed ebbi bagnate le mani dalle sue lacrime.
Non meritavo tanta riconoscenza, ma la buona donna tornò qualche tempo dopo con una scatola di cartone cucita agli spigoli per darle l’esatta misura a contenere una soffice sciarpa di lana sferrucchiata per me con quelle mani ossute e stanche.
Anche la sciarpa era «stanca». Era l’evidente risultato di un indumento appositamente smagliato per ricavarne il vecchio filo di lana, e la sciarpa era pertanto riuscita coi margini allentati; «sbigolona», come diciamo noi veneti.
L’adozione di un opportuno «punto» a maglia alta diede ugualmente alla sciarpa quella morbidezza che il filo dipanato aveva in gran parte perduto.
Dopo aver tratto dalla borsa di tela un barattolo di marmellata fatta in casa («per la sua signora» mi raccomandò), la mamma del disperso mi fece provare la sciarpa assettandomela ben bene sul petto con quelle sue mani coperte di guantucci di lana consunta.
Resistei per ricevere quel dono, ma lei riprese a piagnucolare dicendo che ad ogni incrocio di ferri, per fare quella sciarpa, il suo pensiero era rivolto al figlio che ancora non vuol credere morto e che certamente ha bisogno di una sciarpa; impossibilitata a dargliela, ella la donava a me che m’ero sostituito (in troppo poca cosa, aggiunsi io) al disperso per aiutare il fratello minore.
Accettai, mentre anch’io immaginavo ancor vivo quel giovane soldato naufragato nella steppa sconfinata e che non poteva ricevere la sciarpa della sua mamma lontana.
Rividi quella madre qualche tempo dopo; il figlio è diventato un bravo medico e lei ha meno toppe sui vestiti e soprattutto ha un volto più sereno. Non la fermai perchè mi sentii tornare il ragazzo di oltre venticinque anni or sono, un po’ intimidito all’incontro di una persona che allora m’appariva di più elevata posizione sociale e che ora sentivo dotata una ammirevole superiorità spirituale.
Non la fermai anche perchè non avrei saputo dirle se la marmellata era buona e se la sua sciarpa intrisa di lacrime mi aveva preservato dalle bronchiti.
Avevo infatti donato la marmellata a chi aveva fame e la sciarpa a chi aveva freddo: a chi si trova naufragato nella povertà, ugualmente disperso anche se in mezzo a una città affollata ma crudelmente insensibile. A me era bastata la lezione di vita datami cia quella madre che vorrebbe far giungere le sue vene fino alla Russia per rigenerare quel figlio che non sa ritrovare la strada di casa.
M. Altarui