«IL RITORNO»


Dicembre 1966

Il Signore Gli aveva detto «Vai e conducilo: è la sua ora». E l’Angelo di Dio aveva lasciato la dolce pace delle anime per venire sulla terra a compiere il comandamento. Egli, spirito puro, non sapeva dove l’Uomo fosse, ma un istinto divino lo avrebbe guidato. D’altronde tanti suoi confratelli, quella volta, avevano lasciato il Cielo, diretti tutti ad una stessa mèta; qualcosa era certo accaduto laggiù.
E vi giunse. Era una grande distesa di neve ghiacciata, ove il vento turbinava violento, con radi miseri villaggi, senza strade: certo una delle zone terrene più tristi e desolate ch’Egli avesse mai viste. Vivi bagliori d’incendio Egli vedeva dall’alto e udiva strani rombi, come di tuoni frequenti, lacerare l’aria. Vi erano molti uomini e da essi udiva salire a Lui urla, imprecazioni, comandi, preghiere e gemiti e l’ultimo anelito di chi sta per morire, che gli Angeli possono udire da molto lontano. Riconobbe lo strano spettacolo: era la guerra, ma questa volta più orrenda che mai.
La visione era davvero inusitata, varia ma egualmente spaventosa in ogni dove. Una grande fiumana di uomini si spostava in una direzione, a tratti rigonfiandosi o assottigliandosi, facendosi or qui or là più fitta o più rada, frazionantesi ogni tanto in colonne che dopo diverso cammino si ricongiungevano, si frammischiavano, si accavallavano in un disordine affannoso, per dividersi ancora poco dopo, mentre gruppi più piccoli si muovevano convulsamente intorno, sui fianchi, in coda, qui ricongiungendosi alla grande fiumana, là distaccandosene, come piccoli rivi rigurgitati o sommersi dal suo moto ondoso. Molti altri uomini intorno, più lontano, si spostavano rapidamente su autocarri o a cavallo e grandi macchine di guerra, staccatesi da essi, irrompevano di quando in quando nella grande fiumana, facendo larghi vuoti intorno a sé; a volte folti gruppi di armati formavano barriera sul cammino di questa, ed allora essa veniva percorsa da un tremito convulso, si rigonfiava, arrestandosi in testa mentre la coda si ritraeva nella gran massa brulicante come mitico mostro che si prepari alla battaglia. Sibili acuti percorrevano l’aria, accompagnati dal rombo degli scoppi e dal crepitio petulante delle armi automatiche, mentre il clamore degli uomini si faceva più alto; poi l’urlo avveniva, si rinnovava multiplo e frequente sino a che una delle due parti non cedeva e si ritirava. A volte dopo i vari tentativi, la grande fiumana arretrava, scorreva di fronte allo schieramento nemico, scivolando su un fianco e procedendo così oltre più sottile, abbandonando alla trama dell’avversario lembi della sua carne viva. Intorno la tormenta turbinava.
L’Angelo si avvicinò ancora commosso.
Gli uomini della grande fiumana erano laceri, coperti degli indumenti i più disparati, in cui tuttavia predominava il grigio verde di una divisa che tutti avevano portata; molti senza scarpe, con i piedi avvolti in strisce di panno, si trascinavano più penosamente degli altri, tutti avevano un aspetto di miseria indicibile, i visi stravolti dalla sofferenza, dal sonno, dalla fame, dalla fatica. Molti erano inquadrati tuttora in reparti ordinati, le armi in pugno, il viso teso da una decisa volontà che, impegnando tutto l’essere, faceva loro scordare il dolore da cui aveva tratto origine. Ma intorno tanti altri si trascinavano come automi in uno sforzo prossimo ormai ad estinguersi e in cui perseveravano sino al limite delle possibilità umane: cadevano, si rialzavano, camminavano ancora, ricadevano, e così molte volte sino ad un’ultima, quando il corpo si distendeva nella neve in un abbandono di riposo e insieme di morte. Tra questi v’era chi prima di tacere per sempre, implorava a gran voce un aiuto che pochi ottenevano, chi gemeva sommessamente o raccoglieva nel pianto silenzioso tutta 1’ immensa sofferenza dei giorni passati; v’era chi invocava il nome della mamma lontana, chi pregava in ginocchio la misericordia di Dio, vi era chi improvvisamente impazziva, chi si uccideva con la sua arma. Molti anche, di costoro, cadevano sotto i colpi dei nemici. Tra i combattenti e gli sbandati, in una disordinata mescolanza che sapeva del travaglio interno di tutti gli animi, vi erano slitte rudimentali, a fatica trainate da muli o cavalli che donavano gli ultimi aneliti del loro istinto generoso, cariche di uomini che, pur soffrendo per le ferite e i congelamenti, la fame, la sete, il freddo, non si lamentavano quasi più, consci della loro fortuna di fronte alla sventura di chi non poteva essere più raccolto. Una slitta, ogni tanto, scompariva in una vampa di fumo e di fuoco, e la colonna si apriva allora procedendo per lasciarla indietro.
«Signore - pensava l’Angelo - come Tu devi amare questi uomini perchè Tu abbia a conceder loro di scontare in terra in così breve tempo, tutti i peccati da loro commessi in vita!». E guardava avido e pietoso.
Ecco, i nemici si erano ancora una volta appostati tra le case di un villaggio ove la colonna, anelante ad un breve riposo, stava per giungere. Man mano che procedeva, più fitta si faceva la pioggia di fuoco che cadeva su di essa, più larghi i vuoti che si aprivano nel folto; ma non si arrestava. D’un tratto uomini si staccarono da essa, di corsa si disposero in ordine di combattimento, andarono all’assalto, furono respinti, ritornarono, e così più volte, sinché il nemico fu travolto: persino i carri armati si ritirarono, meno alcuni da cui uscivano vampe di fuoco. Subito i combattenti laceri si sparpagliarono per il paese conquistato, penetrando nelle case; ma quanti cercarono inutilmente un angolo libero ove sostare un po’ al riparo dal vento e dalla neve! Molti da molti giorni non si toglievano le scarpe. Formavano una massa sola con i piedi ghiacciati. Gli ultimi non riuscirono neppure a penetrare nel villaggio.
La notte calava.
Dopo un breve tempo, troppo breve per la stanchezza infinita, la marcia avrebbe ripreso lentamente, nell’oscurità. Chi guidava quegli uomini? Sapevano essi dove andavano, se incontro alla salvezza o incontro alla morte? e quanto tempo li separava ancora dall’una o dall’altra? Nulla sapevano, ma il destino di ciascuno di essi era segnato nel gran libro di Dio.
L’Angelo cercava il suo Uomo: egli sentiva che ormai l’ora era giunta. Lo trovò presso il villaggio, in cui non era potuto entrare: dormiva. Il suo corpo giaceva nella neve, il viso spaccato da una scheggia; accanto il suo fucile ed il cappello, che portava un mozzicone di penna sul fianco. La neve si arrossava, mentre la pelle dell’alpino si andava sbiancando. L’Angelo lo svegliò e gli sorrise, e l’Uomo lo riconobbe: «Grazie», disse. Si alzò, l’anima, separandosi dal corpo, si chinò e lo baciò; poi, con gesto delicato, come per cogliere un fiore, staccò dal cappello il mozzicone di penna spiumato e si avviò, docile, guidato per mano dal Messo di Dio.
Il Suo volto, intatto, era sereno, perché Egli sapeva ormai il suo destino: ritornava.

MARIO CESARI