MANARESI «vecio can»


Giugno 1965


Se n’è andato il 6 aprile, alla vigilia dell’Adunata di Trieste e delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario del nostro intervento nella guerra che meritò all’Italia Trieste e Trento.
Manaresi ha avuto la delusione di non essere all’adunata tra i suoi pochi alpini sopravvissuti a quella Guerra, ma ha ritrovato la più parte dei «veci can» del «Feltre» che iniziarono a morire proprio cinquant’anni addietro nelle ampie valli di Cismon e di Brenta, fra i ruderi anneriti di S. Martino e di Roncegno, nell’epica resistenza su Monte Cima, a Forcella Magna e in Val Cia, nella leggendaria conquista del Cauriol, e poi sul Grappa il Solarolo e il Valderoa; e anche i molti altri veci di quella guerre. che caddero con rinnovato eroismo sui tanti, sui troppi fronti dell’ultimo conflitto, Manaresi li ha già vicini come mezzo secolo addietro quando la fraternità tra loro era cementata dal medesimo rischio oltre che dallo stesso ideale.
Ricordo Manaresi al raduno svoltosi nove anni or sono, il 6 maggio, per la benedizione del gagliardetto del vicino Gruppo di Cornuda: un’adunata di modesta entità ma alla quale egli non rinunciò pur di trovarsi con gli alpini tra il Montello e il Grappa. Io ero giunto in rappresentanza del Presidente della Sezione di Treviso cui appartiene il Gruppo ed ero stato anche designato a pronunciare il «discorso ufficiale».
La cerimonia si svolgeva su alla Rocca e Manaresi, che avevo conosciuto appena quel mattino, salì gagliardamente l’erta assieme a noi; dopo il rito della benedizione e le parole vibranti di fede a di amor patrio che Don Paolo Chiavacci sa dire, seguì il saluto del capogruppo locale e toccava ora a me prendere la parola; ma lasciai dire «due parole» al vecio Manaresi anche perchè egli potesse rispondere con più opportuna immediatezza al ringraziamento particolare che il capogruppo gli aveva rivolto per la sua insperata partecipazione.
Manaresi cominciò le «due parole», ma dalla Rocca di Cornuda si vedono troppi monti gloriosi e i ricordi del vecio can del «Feltre» traboccavano impetuosi dal cuore; solo la fermezza del combattente riuscì a tenergli le lacrime e solo la sua esperienza di ottimo avvocato rese limpide e controllate le parole.
La cima del Grappa, incappucciata di neve, gli richiamava tante imprese gloriose, tanti e tutti gli Alpini che aveva visto combattere e morire, e gli ricordava il suo tributo di sangue al Solarolo.
Quando Manaresi ebbe concluso, io — giovane alpino post-bellico — avevo già rimesso in tasca il fogliettino d’appunti che avrebbe dovuto guidare il mio discorso, mentre il «mostacio» Ugo Gastaldello, l’indimenticabile segretario della sezione, cominciava a brontolare per la mia rinuncia; ma, santo cielo, cosa potevo aggiungere di «ufficiale» dopo il discorso meraviglioso di Manaresi?
Sei anni più tardi — avendo io organizzato un’adunata provinciale per l’inaugurazione del Gruppo di Motta di Livenza ove risiedevo — programmai il discorso ufficiale di Manaresi e lui mi assicurò d’intervenire.
Ma poco prima del raduno mi giunse dalla Signora Manaresi il drammatico annuncio del grave intervento chirurgico che il «vecio» aveva dovuto tempestivamente subire; dopo una disperata serie di telefonate per cercare di supplirlo con un oratore che si avvicinasse alla sua capacità, compresi che Manaresi mi restituiva la mancata occasione di Cornuda.
Ci scrivemmo: io gli auguravo la guarigione che sempre tardava a venire e lui augurava il migliore successo a questo giornale «Fiamme Verdi» che leggeva con entusiasmo e simpatia e per il quale non mancava di inviare il suo periodico aiuto finanziario.

Mi incoraggiava a scrivere, a parlare: ma Angelo Manaresi, da sottotenente a capitano nella Grande Guerra, mutilato e decorato, tenente colonnello sul fronte occidentale e in Russia nell’ultimo conflitto, Presidente nazionale della nostra Associazione nel periodo
più insidiato della sua storia, pioniere dell’alpinismo universitario e presidente generale del Club Alpino Italiano dal 1936 al 1943, valentissimo avvocato, deputato al Parlamento per oltre vent’anni, sottosegretario alla Guerra, podestà di Bologna, presidente dell’Opera nazionale Combattenti, presidente del Rotary Club prima e dopo la guerra, eccellente scrittore e giornalista, Alpino integrale ed onesto, ha ancora Lui la parola attraverso i suoi libri, il suo esempio e l’affettuoso ricordo che tutti sentiamo di conservargli.
M. ALTARUI