DICONO DI NOI


Giugno 1964

AUGUSTO BERTA in «Gli Alpini»:
— Figli della montagna, alla montagna essi ritornano con quella giocondità reverente con cui si saluta la madre non più veduta da tempo, ed il ritorno all’amplesso materno è così pieno di dolcezze per loro, intenso e soave, che ne attingono forza per superare le più dure fatiche alle quali la loro vita li espone.
Un pensiero occupa le loro menti: lavorare, faticare, sudare, affrontare pericoli per essere, nel momento opportuno in grado di difendere strenuamente le loro famiglie, le loro case, i loro campi. E’ questo salutare ed affettuoso pensiero, questo ideale di intimità soave e commovente, che li sostiene nelle marce gravose per i ghiacciai riscintillanti dal sole, per i lunghi, interminabili, verdeggianti piani fioriti. E’ questo pensiero che li fa agili e sicuri sotto il peso dello zaino che non riesce a curvare i loro omeri, perchè fieri e forti come i loro monti, come i loro monti sono orgogliosi e saldi.


MATILDE SERAO in «Quelli che vegliano»
— La vita degli Alpini è dura e austera. Il povero soldato delle Alpi ascende per quattro o cinque mesi tutte le vie di difesa, nelle Alpi; ma esso compie questi paurosi tragitti di notte, di giorno, col sole, col vento, con la neve, senza curarsi delle intemperie; ma esso ha 27 chili addosso, fra lo zaino, il badile, la piccozza, e tanti altri oggetti di corredo per la montagna; ma esso va dietro al compagno come l’altro vien dopo di lui, così, per obbedienza, per dovere; ma esso giunto ad una fermata, mangia così così, e dorme sotto una tenduccia di tela, sull’erba, sulla roccia, sulla neve.
Chi si risveglia nella notte, quando gli Alpini passano sotto la sua finestra, pensi frontiere d’Italia, fra le nevi, ove non giungono né ferrovie né carrozze, ove appena appena si arrischia il mulo, ove il solo piede umano può arrivare, in uno sforzo di coraggio e di esperienza insieme; pensi a queste frontiere aperte ai predoni nemici, pensi a queste altissime vie di montagna, che sono pur dei passaggi, anche in inverno, e dica a se stesso che lassù, anche nei mesi più crudeli, a duemila metri a tremila metri, tra il freddo, tra le nevi eterne, fra le ombre, nel deserto, vegliano i soldati d’Italia, vegliano i robusti e taciturni Alpini, nelle loro baracche di legno, nei loro fortini di pietra; sotto le loro tende di tela, sopportando ogni stento, subendo ogni privazione.
Pensi, pensi costui, con gratitudine, con ammirazione, con tenerezza, che per far dormire quieti sonni agli Italiani, diecimila Alpini debbono distaccarsi da ogni bene sociale, e, in una vita di asprezze, di solitudine e di silenzio, vigilare per tutti.


FILIPPO SACCHI:
— Alpini. Profilo di maschi volti sotto l’ala del cappello proteso, sagome dalle spalle traverse, squadrate dal fardello enorme degli zaini, linea lenta e salda della persona atletica, in cui il tratteggio sottile e obliquo della penna scappa fuori come un estro di soldatesca civetteria.
Gli Alpini non solo sono un corpo, sono una etnografia. Hanno i loro usi, costumi, e gergo, tanto sviluppato e ricco che qualcuno s’è provato addirittura a farne un vocabolario... Hanno una passione per tutto ciò che appartiene al Corpo da toccare, qualche volta, la sublimità o, per i profani, la stravaganza, ch’è lo stesso... Gli Alpini sono, in verità una milizia che si trasmette dai Caduti ai rimasti, come una investitura. I loro ranghi si prolungano nella vita degli individui e delle generazioni. Nessuno, che vi sia estraneo, ha idea della forza che questa solidarietà alpina mantiene al di là dei muri della caserma e oltre la data del foglio di congedo...
Essi sono e rimarranno una grande esperienza: l’esperienza che tutto si può costruire con gli uomini, purché parli, da coscienza a coscienza, la ragione del convinto consenso e dell’uguale dovere


MARIA SAVI-LOPEZ in «Fra le Nevi e i Fiori»:
—Agili come le capre e i camosci, sembrava che non provassero nessuna difficoltà camminando sui dirupi. Le lunghe penne che portavano sul cappello erano superbamente alzate e il sole metteva un vivo scintillio sulle canne dei loro fucili. Parevano lieti e forti, e si poteva, guardandoli, essere sicuri che sarebbe cosa ardua,. per gente straniera, varcare le nostre Alpi.


OTTONE BRENTARI in «Le Alpi»:
— Che volete? Quando incontro un Alpino, che così vivamente mi ricorda le Alpi, sotto i portici o per la Galleria, duro, serio, un po’ impacciato, distribuendo qua e là qualche urtone, mi vien voglia di abbracciarlo e di leggergli negli occhi le vive impressioni dei suoi monti.
Ma chi ha visto quella brava gente solo nelle città o nelle riviste, non può dire di conoscerla. Lassù bisogna vederli quei forti figli e difensori nei nostri monti: bisogna vederli lassù camminare, carchi ed armati, per sentieri sassosi, per viottoli scoscesi; bisogna vederli lassù attraversare in intere compagnie, con armi e bagaglio, certe forcelle e certe cime che solo qualche anno addietro erano credute intransitabili e la cui traversata e salita era considerata come una grande impresa, di cui avessero a parlare i giornali; bisogna vederli scendere, sugli sci, per pendii nevosi, rapidi come il pensiero; bisogna vederli lassù saltare, come scoiattoli, per valloni e dirupi; lassù bisogna vederli i nostri Alpini, per amarli, per apprezzarli, per provare l’orgoglio di averli come fratelli, per gustare la sicurezza di averli a difensori, per sentire invidia per essi, i quali, in caso di guerra, saranno i primi a giungere al confine, a difenderlo coi loro petti od a cancellarlo col loro sangue.