RICORDI DI UN VECIO


Febbraio 196

Vecchia «penna bianca» della nostra Sezione, l’Autore delle note che seguono ha gentilmente buttato giù, alla buona, in forma alpina e sintetica, le lunghe vicissitudini che l’hanno condotto a diventare Alpino.
Questo articolo somiglia tanto ad una conversazione amichevole di quelle che si fanno serenamente tra amici, quasi con distacco personale, parlandone in terza persona come è soli/a fare la forte gente zoldana da cui l’autore proviene.
Ogni lettore ritroverà, nel leggere il simpatico brano, un po’ di se stesso; vi troverà soprattutto sincerità nei piccoli avvenimenti che caratterizzano la vita militare di ogni tempo a che pur hanno talvolta un’importanza decisiva nel destino d’ognuno.
Non si rincorrono, nel testo dell’articolo, le multicolori imprese epiche personali che si trovano, spesso con tinte rafforzate in tanti brani e conversazioni del genere.
E la bontà della storia del nostro e «vecio» sta proprio in questo: nel ricordare con semplicità gli avvenimenti e con tanto affetto le persone; se a tutti riuscirà piacevole la lettura di questo articolo, a molti sarà soprattutto utile per quanto si può apprendere, riga dopo riga, da un racconto così vero, limpido e paterno.

Come divenne Alpino
Soldato di leva della classe 1892 al 3° Genio telegrafisti, il 28 giugno 1914 il futuro «vecio» si trovava in servizio alla Stazione Radio di Sjrte (Tripolitania) quando venne captata la notizia dell’assassinio dell’Arciduca ereditario di Austria Francesco Ferdinando d’Asburgo avvenuto a Sarajevo (Serbia), e che fu la causa prima della conflagrazione reciproca. Addio prossimo congedo dal quale già si contavano i giorni !
L’incendio divampa, l’Austria dichiara guerra alla Serbia e dilaga, Germania, Francia, Inghilterra e Russia sono coinvolte! E’ di allora una canzone che diceva:

C’era una volta in Russia un orso che le man si fregava, se ne in fischiava.
La tigre tedesca il vicino scrutava e la pipa fumava, se ne impippava.
Il lupo di Vienna alla gatta di Serbia mordeva i Balcani.
E l gallo francese svegliato dal chiasso si mise a cantar!
Pinota la bella italiana ad attendere sta quel che mai accadrà fra cotanti animali.
Pinota la bella italiana ad attendere sta quel che mai accadrà fra le bestie il furor!
Disse un bel giorno il lupo alla tigre, partiamo domani nati de cani!
E tutti gli sforzi degli altri animali con noi saran vani mangiam cristiani.
E il gallo francese con tanto fracasso continua a cantar! Pinota o bella italiana su vieni con noi
Ti darem ciò che voi, la vittoria e l’allor.
Pinota che fa un po’ l’indiana, dice a tutti no no
sol mi moverò se l’Italia vorrà!

Ma anche l’Italia mobilita; e la notte sul 24 Maggio 1915 venne la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria. Il nostro vecio, rimpatriato, prestava servizio allora nell’ufficio postale del suo paese al seguito di una divisione che operava al Col di Lana.
Il cannone già si sentiva come tuoni e boati lontani, il telegrafo portava notizie al Comando locale cd anche comunicazioni al Sindaco dei primi compaesani caduti, specialmente alpini, sul Monte Piana
La situazione spirituale del nostro telegrafista diventava per lui insostenibile e quasi si vergognava del posto che occupava, le sue parole di conforto alle famiglie degli amici caduti suonavano male, e malgrado che la sua famiglia avesse già due figli al fronte e poi quattro, tutti degli alpini, chiese di essere trasferito negli alpini! Venne mandato nel Comelico come capo stazione telefonica eliografica e di là a Cortina d’Ampezzo per frequentare il corso allievi Ufficiali presso il 23° Regg. Fanteria, e ciò per intercessione del ten. Col. Olivo Sala che allora si trovava al Comando Divisione a S. Stefano del Comelico; cm all’insaputa del tenente comandante il plotone del Genio telegrafisti della 4° Armata dal quale direttamente dipendeva!
Durante il viaggio per Cortina, proprio in piazza a Pieve di Cadore eccoti l’incontro col Sig. Tenente Gustosa suo di- retto comandante, ma personalmente sconosciuti l’uno all’altro! Il tenente oltremodo urtato, portava subito il soldato dal Generale Venturi Comandante la Fortezza Cadore Maé, chiedendo che gli fosse rimandato il fuggitivo, dicendo della sua insostituibilità e della sua bravura come telegrafista; e dire che poco tempo prima lo aveva dichiarato non idoneo alla promozione a caporale (proposta che era stata avanzata dall’amico sergente Dall’Armi di Longarone) e lo avrebbe volentieri mandato in gattabuia! Il Generale Venturi chiese se andava volentieri al corso Ufficiali e poi congedò ambedue dicendo che se era un buon soldato poteva diventare un buon Ufficiale e di questi ce n’era maggior bisogno!
Fine Ottobre 1915 al corso Ufficiali a Cortina, col quale venne mandato in trincea a Bottestagno durante un’azione al Son Pauses,
Fine dicembre 1915: promozione ad Aspirante Ufficiale ed assegnato al 7° Alpini Batt. «Val Piave»; d’ordine si presentava con buono di prelevamento al deposito del 7° a Pocol di Cortina dove gli dettero giacca e pantaloni grigioverdi e cappello alpino. Qui fece la prima conoscenza con quei mattacchioni alpini che, in vena di sfottere, gli dettero braghe e pantaloni misura grande ed un cappello che sarebbe arrivato ad appoggiare sulle spalle! Vadi per le braghe e la giacca, ma il cappello dovettero darglielo di misura. Ciò malgrado che sulle maniche della giacca da soldato avesse già attaccato le stellette di grado da Aspirante, sul petto il distintivo della guerra di Libia e sul braccio destro un distintivo da radiotelegrafista con antenna, quadrante e spirale ed un fascio di frecce da parafulmini!; ma alla fine eccotelo vestito da ALPINO!
Per darsi un po’ di aria dava una schiacciatina al cappello sul fronte e inclinava all’indietro la penna come vedeva fare dai veci alpini, ma ahimé, proprio un Signor Maggiore del Corpo, in piazza a Cortina te lo schiaffava sull’attenti con poca urbanità ricordandogli che il cappello doveva essere a cupola intera e la penna dritta e di misura! Signorsì!
Assegnato al Batt. «Val Piave» si presenta al Comando alle Tre Croci; i sigg. Ufficiali sono alla mensa dove lo riceve il Comandante Maggiore Alessandro Gregori che per farla breve lo presenta a tutta la assemblea dicendo che «il fatto della sua provenienza è già una speranza» forse perchè uno che fa un cambio del genere o è un mona o è uno stanco della viti, e di questi alle volte, in guerra, faceva comodo averne!
Passato in forza alla 267° che occupava allora le posizioni del massiccio del Cristallo allo Zurlong, fronte del Forame, gli venne dato un sacco a pelo, un mulo ed un conducente ed inviato a Col dei Stombi. Lasciato mulo e conducente in fondo alla Valgrande si avvia lemme lemme per il ripido sentiero che mena allo Stombi; ad un certo punto eccoti un grosso capitano con baffoni a spazzola, mezzo toscano in bocca e cappello veramente a cupolone con un mozzicone di penna! Scatto e presentazione da parte del novellino, faccia feroce del Capitano che lo congedò dicendo: «vadi su e mi attenda alla prima baracca!», nient’altro! Dio mio! disse fra sé, ma non stavi troppo bene al Genio che hai voluto cacciarti fra questi selvaggi?
Queste malinconie durarono poco; a Col dei Stombi lo accolse il ten. medico Povoleri che lo abbracciava come un amico di vecchia data e si dava premura di ristorarlo con un buon zabaione e biscotti; ne aveva proprio bisogno perché era sfinito dall’inedia e dalla stanchezza! Dopo aver dormito la notte in sala di mensa nel suo saccopelo, il mattino dopo andava a prendere il comando del distaccamento di Goletta Zurlong in una povera baracca a metà incastrata nella roccia, con le brande a scaffalatura come si usa nelle latterie per il formaggio. Una parete divideva il locale truppa e cucina dall’ufficio comando con la branda sospesa per il comandante; il Sergente Magg. De Michieli dovette passare coi soldati e ciò
dispiacque al nuovo arrivato perché non avrebbe voluto dare incomodo a nessuno.
Componeva il piccolo posto una ventina di soldati con molti pidocchi addosso e tanti figli a casa! Cadorini, Zoldani e di quei della bassa; c’erano rappresentanti dei piemontesi e degli abruzzesi; artigiani, boscaioli, contrabbandieri, ecc. ceffi ai quali i bravi di don Rodrigo non avevano nulla da spartire! Il giovane Ufficiale era squadrato, pesato e giudicato, ma l’esame pare sia andato e dopo breve tempo, anche con l’aiuto qualche fiasco di vino, la famiglia di Goletta Zurlong era affiatata.
A metà strada fra Col dei Stombi e Goletta Zurlong, emergeva il Testaccio dove, in caverna, erano piazzati i cannoni del maggiore Scarampi, bella e leggendaria figura di ufficiale, allampanato e con una barbetta da disperato, gambe e stecchite con fasce di colore indefinito dalle caviglie alle ginocchia, gradi niente appariscenti, veramente alla buona e scalcinato che piaceva agli alpini(e loro a lui) che accompagnava i combattimenti coi suoi tiri precisi. Egli era il terrore degli austriaci, tanti che comunicazioni interne del nemico, da noi intercettate, dicevano che stare sotto i tiri di Scarampi era un inferno; ed una volta si vide sulla trincea un cartello con su scritto « Morte al Re e al Capitano Scarampolo».
Gli sconci (conducenti) del nostro Battaglione avevano battezzato Scarampi i muli più recalcitranti e li incitavano con un «ihi! Scarampi», della qual cosa non si sentiva invero lusingato il legittimo titolare del nome! Più indiavolato che mai lo si vide quando un alpino di Goletta Zurlong riuscì a sgraffignare dalla sua mensa un bel pollo belle arrostito; in il occasione Scarampi disse che se avesse visto e ancora qualche alpino girovagare attorno alle sue baracche gli avrebbe sparato col cannone! Quando poi gli austriaci facevano troppo chiasso con le armi, gli alpini dicevano «attenti much che se si sveglia Scarampi vi dà la biada!».
Era difficile che un artigliere di Scarampi od un alpino dei nostri in permesso-premio a Cortina per un bagno, una spidocchiatura ed una bevuta non finissero in gattabuia condotti dai carabinieri; qualche esagerazione magari alle volte meritava l’intervento di carabinieri come nel caso accaduto di togliere dalla circolazione quel mattacchione alpino che, comperato un orinale di ferro smaltato, vi mise della birra e qualche salsiccia offrendone l’assaggio a qualche ragazza! Ma lo zelo dei «teli da tenda» (carabinieri) non garbava troppo a Scarampi; così una sera, col favore dell’oscuramento, barcollando e gesticolando come un perfetto ubriaco, si fece portare in caserma e con una spassosa commedia e tra lo sbalordimento dei carabinieri e del tenente comandante, fece aprire le prigioni e liberò quanti in esse rinchiusi, artiglieri ed alpini messi dentro per varie sciocchezzuole!
Nel Gennaio del 1916, quando il nostro vecio entrava a far parte del Battaglione «Val Piave», questo era formato da due compagnie, la 267a e la 268a con una sezione Mitragliatrici Maxim. TI Battaglione era comandato dal bravo maggiore Alessandro Gregori; aiutante maggiore era il tenente Seracchioli, lo stesso che durante la guerra acquistò la bella ed artistica chiesetta di S. Francesco d’Orsina a Calalzo per farne dono agli alpini. Questa chiesetta era stata sconsacrata qualche secolo addietro per un fattaccio ivi avvenuto; è ora diventata un sacrario del 7’ e, con le spoglie dei valorosi cadorini ed uno zoldano caduti nella difesa del 1848, vi riposa il nostro caro cd indimenticabile Don Piero Zangrando.
La 267a era comandata dal Capitano Giulio Cavallari ed aveva, quali subalterni, il ten. Avv. Gallo Attilio, Rebora, Angeleri e Gentili, oltre al ten. medico Povoleri; mentre alla 268a c’era il Capitano Neri Alberto e i tenenti Nodari, Nussi, Mandrin ed un valoroso abruzzese di cui non ricorda il nome, ed infine il tenente medico Biffis; erano tutti in gambissima, ed è in questo ambiente che il nostro «vecio» è diventato Alpino

T.S.