FIUME PIAVE
"La Piave". Fiume sacro alla patria
Le sorgenti del fiume Piave si trovano alle pendici del Monte Peralba a quota 1830m in provincia di Belluno, attraversa la provincia di Treviso per poi gettarsi nell'Adriatico nei pressi di Cortellazzo.
Il 4 novembre 19l8 si concludeva, con la vittoria dell'Italia e la dissoluzione dell'impero austroungarico, la grande guerra. Dopo, nulla sarà più come prima, in Europa e nelle coscienze di tutti. Di Tullio Vidulich, generale degli alpini.
Alle ore 2 del 24 ottobre 1917 la 14a armata austro-tedesca, comandata dal
generale Otto Von Below, lanciava una potente offensiva denominata "Waffentreue"
(fedeltà d'armi) contro le linee italiane in corrispondenza delle conche di
Plezzo e Tolmino, considerate dal generale Krafft von Dellmensingen le posizioni
più deboli dello schieramento avversario in quel settore del fronte isontino.
L'azione sferrata con nuovi procedimenti tattici sconosciuti all'esercito
italiano (terrificante preparazione di artiglieria nelle retrovie, lancio di
granate con gas tossici sulle postazioni di Plezzo e Tolmino e infiltrazioni di
reparti in profondità), nel giro dl poche ore produceva una consistente breccia
del dispositivo di resistenza in coincidenza di Caporetto, attraverso la quale
forze austro-tedesche della 12a divisione slesiana penetrarono con grande
rapidità alle spalle delle linee italiane determinando il ripiegamento
disordinato della 2a armata del generale Capello.
Nella giornata del 25 ottobre le falle aperte in corrispondenza di Plezzo,
Caporetto e Tolmino si allargarono sempre di più, al punto che divenne
impossibile arrestare il nemico. Il giorno 26 i tedeschi dilagavano in Val di
Uccea e nella valle del Natisone determinando il crollo del fronte.
Il giorno 27 ottobre in seguito al precipitare degli eventi, il Generale
Cadorna, capo di Stato Maggiore dell’Esercito dava l’ordine di ripiegamento
alla 3a armata e alle Truppe della Zona Carnia. Il 28 cadeva Udine e dopo una
disperata resistenza davanti ai ponti del fiume Tagliamento, le divisioni
italiane proseguivano la ritirata sino al Piave.
Durante quella drammatica battaglia (passata alla storia come 12a battaglia
dell'Isonzo) l’Esercito italiano perse 300.000 uomini (in gran parte della 2a
Armata), 3.500 pezzi di artiglieria, 1.730 mortai e bombarde, 2.800
mitragliatrici e una ingente quantità di materiale. Nei primi giorni
dell'offensiva caddero 10.000 soldati e più di 30.000 furono i feriti.
La ritirata di Caporetto fu un tragico evento che lasciò segni indelebili sugli
avvenimenti del nostro paese. Nel giro di poche ore la guerra travolse il 4
destino di migliaia di soldati e di oltre un milione di civili delle province di
Udine, Treviso, a Belluno, Venezia, Bassano, Vicenza, mediante furiosi
combattimenti innescati in ogni paese, nei casolari, lungo le strade, davanti ai
ponti dei fiumi. Davanti ai ponti del Tagliamento numerosi furono gli episodi
eroici dei nostri soldati che si sacrificarono per consentire il ripiegamento
del grosso delle armate italiane e per arginare le incalzanti avanguardie
nemiche tese all'occupazione dei ponti stradali e ferroviari.
Vanno ricordati gli atti di valore più significativi consumati dalla cavalleria
italiana e dai reparti di ogni arma. Il giorno 28 ottobre il reggimento
"Saluzzo" combatté valorosamente a Beivars e a San Gottardo, il 29 i
Reggimenti lancieri "Aosta" e Mantova" fermarono le avanguardie
nemiche a Fagagna, mentre gli squadroni di Roma e "Monferrato"
arrestarono gli austro-ungarici a Pasian Schiavonesco. Leggendaria l'eroica
resistenza dei reggimenti "Genova Cavalleria" e "lancieri di
Novara" agli ordini del Gen. Emo Capodilista e di reparti della brigata
"Bergamo" a Pozzuolo del Friuli che si sacrificarono per proteggere il
ripiegamento della 3a armata e la generosa resistenza dei Granatieri di Sardegna
a Lestizza e la accanita lotta della brigata "Bologna" schierata sulle
colline di Ragogna: per tre giorni resistette coraggiosamente agli assalti
furibondi dei tedeschi che volevano conquistare il ponte di Pinzano.
" Di molti di questi eroi immolatisi per la Patria - afferma Cesco
Tomaselli, ufficiale degli alpini che visse sulla sua pelle la ritirata - non si
saprà il nome, non si conosceranno mai le gesta: segnalati ai comandi superiori
con l'equivoco termine di dispersi, essi sono i più ignoti fra gli ignoti,
perché nessuno è tornato di chi li vide cadere, nessuno può riscattare le
loro memorie e solo la madre, che sa di averli educati alla legge del dovere,
coltiva nel suo dolore l'orgoglio di pensarli non indegni di quella uniforme che
essi onorarono cadendo". (da: "Gli ultimi di Caporetto" di -
Cesco Tomaselli - Gaspari Editore).
Per evitare la manovra di aggiramento avversaria nella notte del 3 novembre
anche la 4a armata che difendeva il Cadore iniziò il ripiegamento con l'ordine
di organizzare la difesa del monte Grappa e di realizzare la saldatura con le
truppe dell'altipiano di asiago e quelle schierate lungo il Piave. Nonostante il
disastro subito l'esercito ed il paese ritrovarono la forza e la volontà di
resistere e di combattere sul Piave. Con grande coraggio e alto senso di
responsabilità. Il Piave divenne fulcro e simbolo della volontà di riscossa dl
tutto il popolo italiano.
Il mattino del 9 novembre il comando supremo dell'esercito fu assunto dal
generate Armando Diaz che subito si mise al lavoro per elevare l'efficienza ed
il morale delle truppe.
La grave situazione richiese di adottare una nuova strategia. Fra governo e
comando supremo si instaurò un dialogo di massima collaborazione determinato da
una mentalità più moderna. Vennero presi significativi provvedimenti a favore
dei soldati per migliorare le condizioni di vita: furono concessi turni di
licenza più frequenti, migliorato il vitto, venne istituita una polizza
assicurativa in caso di morte dei Combattenti, venne data maggiore attenzione ai
problemi , e morali e materiali dei soldati e delle loro famiglie. Vennero
elaborati nuovi procedimenti tattici rivolti ad eliminare gli errori che avevano
provocato la ritirata di Caporetto e la li perdita di tante vite umane.
Dopo la ritirata al Piave l'esercito italiano venne a trovarsi schierato su una
nuova linea difensiva di circa 200 chilometri più corta di quella precedente:
rimasta immutata dal passo dello Stelvio sino all’altopiano di asiago, si
saldava ai contrafforti del massiccio del grappa per scendere poi e sul
Monfenera e distendersi lungo il corso del Piave sino al mare. Vista la gravita
della situazione sul fronte italiano, Francia , ed Inghilterra decisero l'invio
di un corpo di spedizione in aiuto all'esercito italiano. Anche gli USA
contribuirono al potenziamento dell'esercito italiano con l'invio di materiali
di ogni genere. Ai primi di novembre quattro divisioni francesi raggiungevano
Vicenza, la 46a e 4/a di cacciatori delle alpi e la 64 a e 65a del XXXI corpo
d'armata. Nei giorni seguenti giunsero in Italia due divisioni inglesi (la 23a e
24a divisione). Fra il 20 novembre ed il 2 dicembre vennero inviate nel veneto
altre due divisioni francesi e quattro divisioni inglesi.
Il nemico imbaldanzito dal successo non allentò la pressione. Sull'altopiano
di asiago il nemico attacco furiosamente. Il 4 dicembre sferra un formidabile
assalto contro le difese della 29a divisione: alpini, fanti e bersaglieri
resistono sino all'esaurimento ma poi debbono ripiegare sulla linea monte Val
bella - Val Franzela - Col del Rosso.
Per tutto il mese di novembre e dicembre le posizioni del Grappa furono
sottoposte a martellanti bombardamenti e incessanti attacchi dai reparti del
generale Krauss, ma gli italiani riuscirono a reggere il potentissimo urto con
disperato eroismo e al prezzo di immensi sacrifici. L’offensiva austro-tedesca
aveva raggiunto il suo culmine, oltre non le era stato possibile avanzare. Sul
monte grappa i nostri fieri avversari si trovarono di fronte un nemico diverso
da quello incontrato a Caporetto, un avversario che nel giro di pochi giorni
aveva cambiato volto e spirito.
Col Caprile, M. Pertica, Col della Beretta, M. Solarolo, Col dell'Orso, M.
Spinoncia, M. Tomba, Col Moschin sono cime ormai consacrate alla storia
d’Italia e d’Austria.
Vale la pena di far conoscere il pensiero del Generale Krafft von Dellmensinger,
prestigioso e cavalleresco capo di stato maggiore della 14a armata,
all’indomani della battaglia di Caporetto: cosi si arresto, a posa distanza
dal suo obiettivo l'offensiva ricca di speranze ed il grappa divento il
"Monte Sacro" degli italiani. D'averlo conservato contro gli eroici
sforzi delle migliori truppe dell’esercito austro-ungarico, e dei loro
camerati tedeschi, essi, con ragione, possono andare superbi! Dopo il successo
riportato sul grappa il generale Diaz si dedicò instancabilmente all'opera di
ricostruzione dell'esercito mediante l'apprestamento di mezzi adeguati. Nel giro
di pochi mesi vennero rimpiazzati tutti i materiali perduti nella ritirata:
armi, munizioni, mitragliatrici, mortai, cannoni, automezzi, aeroplani e
materiali sanitari. Le grandi unita vennero ringiovanite con la chiamata alla
leva dei giovani del '99 e del '900, allora appena diciottenni.
Durante i mesi invernali, sulle trincee tormentate dai violentissimi assalti e
contrassalti, il generale inverno impose una tregua. A fine dicembre le truppe
tedesche lasciarono l'Italia. Sosta che il comando supremo utilizzo per
completare il consolidamento del fronte e che dai nostri temprati avversari
venne sfruttata per preparare una nuova potente offensiva.
La battaglia del Piave o del solstizio (15 - 23- giugno '18) Nella primavera
del 1918 l'Austria-Ungheria, allettata dai successi tedeschi raccolti sul fronte
franco-inglese (sulle Fiandre il 21 marzo, il 9 aprile sulla Somme e il 27
maggio a Reims) preparo una gigantesca offensiva per conseguire la completa
disfatta militare dell'Italia. Sullo scacchiere italiano, le; forze austriache
agli ordini del Capo di stato maggiore, generale Arz, erano suddivise in due
gruppi di armate: il gruppo d’Armata del Titolo al comando del Maresciallo
Conrad con le armate l0a e 11a sul fronte Trentino e il gruppo di armate del
Piave (schierate dal Monfenera al mare) al comando del generale Boroevic. Conrad
si era posto l'obiettivo di accerchiare le forze italiane schierate dietro il
Piave scendendo dall'Altopiano di Asiago, mentre il Boroevic aveva il compito di
colpire Treviso-Mestre e raggiungere Padova.
Le forze italiane contrapposte alle quattro armate austro-ungariche erano così
costituite: di fronte alla 11a armata la 6a armata (Ten. Gen. Luca Montuori)
dalla Val d'Astico alla Valle del Brenta, e la 4a amata (Ten. Gen. Gaetano
Giardino) dalla Valle del Brenta a Pederobba con complessive 20 divisioni. La
nostra sistemazione sul Grappa era assai critica, perchè eravamo ormai
aggrappati disperatamente alle ultime propaggini montane verso la pianura, tanto
che il gen. Conrad definì la nostra condizione come: quella di un naufrago
aggrappato ad una tavola di salvataggio per cui sarebbe bastato mozzargli le
dita per vederlo annegare.
Di fronte alle Armate del generale Boroevic erano schierate 1'8a armata Ten.
Gen. Giuseppe Pennella da Pederobba a Palazzon, forte di sette divisioni, ed
infine la 3a armata (Emanuele Filiberto di Savoia), da Palazzon al mare con nove
divisioni. Facevano parte della 6a armata schierata sull'Altipiano di Asiago tre
divisioni inglesi e due francesi. L'offensiva non arrivò inaspettata. I nostri
comandi da tempo avevano compreso da molteplici segnali le intenzioni nemiche ed
a queste informarono le contromisure da prendere.
Alle ore 3.00 del 15 giugno iniziò la poderosa offensiva - che prese il nome
di "Battaglia del Piave" o del "Solstizio - con un breve ma
potentissimo fuoco di artiglieria. Questa volta l'artiglieria italiana non
rimase in silenzio ma iniziò immediatamente il fuoco di contropreparazione,
provocando sensibili perdite nel dispositivo di attacco avversario. Il morale
delle fanterie fu scosso in maniera tangibile. Sull'Altopiano dei Sette Comuni e
sul Monte Grappa dopo asprissimi combattimenti e alcune cessioni di terreno le
truppe del generale Conrad vennero arrestate. Epica fu la difesa del Grappa che
impedì al nemico di irrompere verso Treviso-Vicenza .
In pianura lungo il Piave gli austro-ungarici riuscirono a costruire una robusta
testa di ponte. Facendo largo uso di artiglieria e cortine nebbiogene, due
divisioni d'assalto al comando del generale Goiginger superarono il Piave a Falz
e conquistarono le pendici est del Montello, ma la reazione delle nostre
divisioni 47a, 48a 50at 57a e 60a, dopo violentissimi contrattacchi, ricacciò
il nemico sul fiume.
Sul fronte della 3a armata, nel basso Piave, gli austriaci costituirono due
teste di ponte, ma dopo una lotta furibonda, il giorno 18 giugno, vennero
respinti dalla riva destra del fiume. L'esercito austro-ungarico usciva dalla
lotta profondamente scosso ed indebolito. Il gruppo di armate che presero parte
all'offensiva accusò la perdita di 150.000 uomini, fra morti, feriti, dispersi
e prigionieri. Dopo la Battaglia del Piave il prestigioso esercito dell'Austria-Ungheria
iniziò il suo declino; questa sconfitta accelerò di fatto lo sgretolamento
della potente monarchia asburgica.
Dopo la Battaglia del Solstizio i nostri reparti, oltre a migliorare la
consistenza difensiva dei settori più sensibili, effettuarono numerosi
contrassalti e colpi di mano per ripristinare la situazione anteriore
all'attacco austro-ungarico del 15 giugno e per occupare posizioni di rilevo in
alta montagna (Corno di Cavento, Stablel - Menicigolo, Punta S.Matteo). Nel
frattempo sul fronte francese l'offensiva tedesca nel settore Marna-Reims veniva
stroncata, mentre nei Balcani, le forze dell'Intesa sconfiggevano l'esercito
Bulgaro e ad Elbasan si congiungevano con i reparti Italiani dell'Albania (7
Ottobre). Il generale Diaz, vista la situazione favorevole scaturita in seguito
agli insuccessi degli eserciti della Triplice Alleanza, decide di lanciare una
offensiva con tutte le forze per porre fine alla guerra sul fronte italiano. L
attacco venne sferrato il 24 ottobre, anniversario della infausta ritirata di
Caporetto. Il disegno di manovra prevedeva di sfondare le linee austro-ungariche
in direzione di Conegliano - Vittorio Veneto separando così le armate nemiche
del Trentino da quelle schierate sul basso Piave.
Per il pieno successo della complessa manovra il Comando Supremo punto sul
fattore rapidità, sorpresa e flessibilità. Per realizzare il disegno di
manovra le forze furono così articolate dai monti al mare: 7a Armata su quattro
divisioni con compiti difensivi ma pronta a sfruttare situazioni favorevoli; il
settore andava dallo Stelvio sino alla sponda occidentale del Garda;. la Armata
(del Trentino) dal lago di Garda in Val d'Astico su cinque divisioni rinforzata
dal 4° gruppo Alpini con compiti difensivi ma pronta a muovere contro
l'avversario; 6a Armata su otto divisioni di cui una britannica e una francese
con il compito di concorrere all'azione della 4a Armata, 4a Armata su nove
divisioni con il compito di attaccare lungo il solco Val Cismon - Arten Feltre
determinando la separazione delle forze austriache del Trentino da quelle del
Piave, 12' Armata su quattro divisioni di cui una francese con obiettivo le
alture a nord di Quero - Valdobbiadene; 8a Armata su sedici divisioni, delle
quali due di cavalleria, con il compito di separare le due Armate austriache 5a
e 6a e puntare a nord di Vittorio Veneto, 10a Armata su due divisioni italiane e
due inglesi agli ordine del Generale Lord Cavan, con il compito di costituire
una testa di ponte nella zona delle Grave di Papadopoli e successivamente
avanzare sino al fiume Livenza- 3a Armata su cinque divisioni forzare il Piave e
proseguire i1 movimento fino al fiume Livenza assecondando con il fuoco l'azione
della 10a Armata.
La riserva del Comando Supremo era costituita dalla 9a Armata su sei
divisioni di cui una cecoslovacca e un Corpo d'Armata di Cavalleria (su due
divisioni la 2a e la 3a). L'Esercito Italiano per iniziare la battaglia
disponeva in totale di 57 divisioni di fanteria e 4 Divisioni di Cavalleria per
complessivi 704 battaglioni (dei quali 564 di fanteria 61 di alpini, 59 di
bersaglieri, 6 di granatieri, 14 battaglioni d'assalto). Le forze contrapposte
erano costituite da due gruppi di Armate denominate Gruppo Armate del
Trentino" e 'Gruppo Armate del Veneto" o "Boroevic",
rispettivamente comandate dall'Arciduca Giuseppe e dal Maresciallo Boroevic. Il
loro limite di settore era costituto dal fiume Cismon. Il gruppo di Armate del
Trentino comprendeva la 10a Armata (10 divisione) e 1' 11a Armata (su 13
divisioni); il Gruppo di Armate del Veneto (dal Cismon al mare) era formato
dalla 5a Armata "Isonzo", dalla 6a Armata e dal Raggruppamento
"Belluno" articolato quest'ultimo su 12 divisioni. Complessivamente
gli austriaci disponevano di 63 Divisioni delle quali 57 di fanteria e 6 di
Cavalleria. La forza aerea poteva contare su 534 velivoli.
La sistemazione difensiva nemica era molto robusta e in certi tratti del fronte
molto accurata specie sul massiccio del Grappa, dove il terreno consentiva di
esaltare la difesa attiva. La battaglia iniziò alle ore 7.15 del 24 ottobre.
Nella notte fra il 23 e 24 reparti della 10a Armata del Generale inglese Cavan,
nono stante la furia delle acque del Piave, con azione di sorpresa,
conquistarono l'isola della Grave di Papadopoli. Subito dopo la costituzione
della testa di ponte, unità della 4a Armata scattarono all'assalto contro le
posizioni austriache dell'Asolone, Cima Pertica, Col della Beretta, Valdeora
Colle dell'Orso, Monte Solarolo, Monte Spinoncia dove, dopo aspri combattimenti,
vennero raggiunti apprezzabili risultati nonostante la tenace difesa ed i
ripetuti contrassalti del valoroso avversario.
Il Monte Asolone fu più volte conquistato e perduto. In tre giorni di accaniti
combattimenti l'Armata del Grappa, sebbene non avesse conseguito i1 pieno
successo, costrinse gli austriaci ad impiegare e logorare le loro riserve a
tutto vantaggio del settore del fronte da dove doveva avvenire lo sfondamento
decisivo. Sugli Altopiani, nel frattempo, unità della 6a Armata del Grappa
impegnavano il nemico con azioni di controbatteria e vigorosi colpi di mano. Nel
basso Piave, a causa delle piogge cadute su tutto il settore del fronte
orientale, fu necessario rinviare il forzamento del Piave alla sera del 26
ottobre. A causa di quell'evento meteorologico l'Armata del Grappa dovette
sostenere da sola, tutto il peso dei contrattacchi nemici. Nella notte del 26
ottobre le truppe dalla 12a, 8a e 10a Armata iniziarono il gittamento dei ponti
per passare sulla sponda opposta nel tratto di fiume compreso fra Pederobba e
Ponte del Piave.
L'operazione già di per se difficoltosa a causa delle non buone condizioni del
Piave, fu altresì, caparbiamente ostacolata dal fuoco violentissimo delle
artiglierie, specie nel settore dell'8a Armata, che riusciva a costruire appena
due ponti dei sette previsti: traghetti quasi ultimati vennero più volte
colpiti e distrutti dalle granate dell'artiglieria nemica. Nonostante la furiosa
reazione dell'avversario nella notte del 27 ottobre furono costituite tre teste
di ponte. Vista la critica situazione creatasi sul basso Piave, il Maresciallo
Boroevic, inviò due divisioni di riserva strategica alla 6a Armata al fine di
eliminare le teste di ponte italiane realizzate sulla sinistra del fiume. Le
truppe dell'8a Armata che si erano spinte sino a Soligo vennero a trovarsi in
una situazione di pericolo perché completamente isolate dal resto dell'Armata.
Di fronte a quella minaccia il comandante del1'8a Armata diede ordine al XVIII
Corpo d'Armata di passare il fiume sui ponti di barche della 10a Armata a
Palazzon (schierata sulla sua destra) e subito dopo puntare su Conegliano.
Fu la mossa vincente.
L'attacco riprese slancio su tutto il fronte del Piave. La 12a Armata iniziò il
movimento verso est conquistando M. Perlo - M. Pianar e Alano di Piave. Superata
la crisi del forzamento del corso d'acqua nella notte del 29 le teste di ponte
oltre il Piave si saldarono costituendo un unico ampio saliente nel settore
nemico. Nel pomeriggio dello stesso giorno la 6a Armata austro-ungarica
impiegava sulla seconda posizione di difesa in corrispondenza del fiume
Monticano, incalzata dall'avanguardia della 10a Armata. Sotto la spinta
offensiva delle tre Armate, 12a, 8a e 10a anche la seconda posizione difensiva
iniziò a sbriciolarsi. Nello stesso giorno anche la 3 Armata, denominata
l'"Invitta", dopo aver forzato gli sbocchi sul basso Piave, entrò in
azione con obiettivo Motta di Livenza. Iniziava anche per l'esercito Imperiale
austro-ungarico l'abisso di Caporetto e questa volta in modo irreversibile.
Il giorno 31 ottobre segnò il crollo delle Armate austro-ungariche presenti
in Italia. Il mattino del 1 novembre le Grandi Unità dell'Intesa iniziarono
l'avanzata. Il primo novembre veniva liberata Belluno, il 2 cadeva in nostre
mani Udine e Rovereto, il 3 unità della 7a Armata raggiungevano Malè in Val di
Sole, mentre nelle prime ore del pomeriggio, unità della 1a Armata (i
Cavalleggeri di "Alessandria", gli Alpini del IV Gruppo e il XXIX
Reparto d'Assalto) entravano in Trento. Quasi alla stessa ora il
cacciatorpediniere "Audace" sbarcò a Trieste un battaglione di
bersaglieri. Alle ore 18 dello stesso giorno a Villa Giusti venne firmato
l'armistizio che fissava la fine delle ostilità per le ore 15 del 4 novembre.
(Tratto da un articolo pubblicato dal
quotidiano Alto Adige il 4 novembre 1998)