GRUPPO FALZE' DI PIAVE


Dicembre 1967

50° esodo da Falzè - 10° del Gruppo

Nel cinquantesimo anniversario dell’esodo della popolazione di Falzè sotto l’incalzare dell’invasione austriaca (giunta in paese il 10 novembre 1917) e per ricordare la resistenza sul Piave, il Gruppo di Falzè ha molto opportunamente organizzato per domenica 19 novembre un riuscito raduno al quale hanno partecipato la popolazione e numerosi alpini anche di altri gruppi.
La manifestazione indetta anche per festeggiare il decennale della costituzione del Gruppo ha avuto inizio con l’ammassamento nella piazza del paese, cui è seguita la S. Messa in suffragio delle vittime militari e civili di tutte le guerre.
Dopo la deposizione della corona d’alloro al monumento, ha pronunciato un applaudito discorso il ten. col. Alberto Piasenti, comandante del Presidio militare di Conegliano e della Sezione staccata d’Artiglieria.
E’ seguito il pranzo collettivo (centinaia di polli arrostiti allo spiedo gigante) presso lo stabilimento R.A.F. (gentilmente messo a disposizione dai titolari) e — nel pomeriggio, presso la sala parrocchiale — l’esibizione del Coro «Alpes» del C.A.I. di Oderzo.
La presenza della fanfara sezionale ha reso ancor più completo questo ottimo raduno organizzato con la consueta bravura dal dinamico capogruppo di Falzè Pietro Breda e dai suoi validi collaboratori.

GRUPPO FALZE' DI PIAVE


Febbraio 1968

La cerimonia a Falzè di Piave


I partecipanti al raduno di Falzè ascoltano l'applaudito discorso del ten.col.
Alberto Piasenti davanti al monumento (unico in Italia) dedicato alle divisioni
D'assalto che nella Pana di Sernaglia affrontarono il nemico dando inizio alla
gloriosa avanzata su Vittorio Veneto.

In concomitanza con l’uscita del precedente numero di Fiamme Verdi ci è pervenuta la cronaca relativa al raduno svoltosi a Falzè di Piave il 19 novembre e che, inviataci dal capogruppo di Sernaglia prof. T. Lino Gobbato, qui di seguito riportiamo ad opportuna integrazione delle notizie da noi precedentemente pubblicate.
Ci è pure giunta notizia delle rappresentanze e autorità intervenute a detta manifestazione. Oltre al vessillo sezionale e le bandiere delle sezioni di Barbisano e di Ponte della Priula dell’Associazione combattenti e reduci, erano infatti presenti, con il gagliardetto di Falzè di Piave, quelli dei Gruppi di S. Croce del Montello, Vidor, Miane, Mosnigo, S. Lucia di Piave, Barbisano, Solighetto, Mareno di Piave, Ogliano, Pieve di Soligo, Refrontolo, Colfosco di Susegana, Sernaglia della Battaglia, Collalbrigo, S. Vendemiano, S. Fior e quello di S. Pietro di Feletto.
E’ intervenuto il Sindaco di Sernaglia Antonio Michelin con numerosi assessori e consiglieri comunali, il Parroco don Pietro Velo, il comandante della stazione carabinieri mar. Angelo Scremin; per il consiglio direttivo sezionale erano presenti il vice presidente cav. Giovanni Daccò e i consiglieri ten. col. Cav. Alberto Piasenti, Igino Citron, Giacomo Soravia, Franco Buosi, Giovanni Mason, Gianfranco Bellotto e il segretario Giovanni Bozzoli.

Il raduno della Sezione organizzato il 19 novembre dal gruppo di Falzè di Piave, ha dimostrato, ma non ce n’era bisogno, non solo l’efficienza e la compattezza delle Penne nere di Falzè, ma anche il calore e la simpatia che godono nel paese.
Alle finestre delle case molti i tricolori (e non è cosa da poco di questi tempi); muri tappezzati da striscioni di benvenuto, vetrine opportunamente addobbate con soggetti di chiara ispirazione alpina, dimostravano che il piccolo centro del Quartier del Piave voleva accogliere degnamente gli alpini della Sezione.
La cerimonia ufficiale ebbe inizio con la S. Messa nella chiesa parrocchiale, ove tutti affluirono con puntualità alpina. Al Vangelo, il parroco Don Pietro Velo ha puntualizzato il significato dell’adunata che cadeva giusto nel cinquantenario dell’invasione del paese ad opera delle forze austro-ungariche, i cui primi reparti, dopo la rotta di Caporetto, fecero la loro apparizione nel paese la sera dell’11 novembre 1917. Per un anno la popolazione subì angherie e soprusi senza nome; vide i suoi raccolti dilapidati in pochi giorni, il bestiame rubato, le case distrutte. Privi di tutto, donne e bambini dovettero abbandonare la loro terra e cercar rifugio altrove tra gli orrori e la fame.
Ricordare queste pagine è un dovere ed ha ringraziato gli alpini che per primi hanno voluto richiamare alla memoria un aspetto dimenticato della prima guerra mondiale che vide protagoniste inermi popolazioni.
Dopo il rito, si riformò il corteo, che si avviò verso la piazza ove sorge il celebre monumento agli Arditi, che rievoca come forse nessun altro i giorni gloriosi e terribili delle memorabili giornate del Piave.
Deposta una corona d’alloro, mentre nell’aria si spargevano le note della canzone del Piave suonata dalla fanfara della Sezione, il col. Piasenti tenne l’orazione ufficiale.
Dopo aver dichiarato che il ricordo e la vista del fiume reso sacro dall’eroismo dei Padri deve spingerci tutti a non render vano il loro sacrificio, ha aggiunto che i confini da essi raggiunti non si possono toccare. Non abbiamo sentimenti di odio per nessuno. Vogliamo lavorare in pace per progredire sulla via della civiltà; ma non possiamo tollerare che qualcuno pensi che i nostri attuali confini debbano essere riveduti.
L’oratore è stato lungamente applaudito.
Alla fine gli alpini sciamarono per il paese per l’aperitivo. La scelta risultò imbarazzante in quanto ogni casa voleva ospitarli; senza contare che c’era un fornitissimo chiosco, e che davanti al negozio di Brustolin, una panciuta botticella munita di un pratico spinello inalberava un invitante cartello su cui era scritto: servitevi pure.
Per fortuna l’altoparlante invitò a pranzo e tutti affluirono verso il capannone d’una falegnameria posto nella campagna a nord di Falzè e messo a disposizione dal proprietario.
Sulla spianata antistante, Emiliano stava terminando di rosolare 150 polli che giravano su di uno spiedo, mentre altri cuochi improvvisati si davano da fare attorno alle grosse marmitte della pasta.
Su tre lunghe tavolate, 400 commensali furono rapidamente serviti da un nutrito gruppo di belle figliole (gli amici di Falzè avevano proprio pensato a tutto) e mangiarono con nuovo appetito e bevvero del buon vino d’uva.
Prima del levar delle mense, l’ex sindaco geom. Attilio De Vecchi, uno dei «nostri», annunciò che il gruppo di Falzè in occasione del raduno faceva dono di dieci cappelli ad altrettanti vecchi alpini, ex combattenti della prima Grande Guerra.
Ad uno ad uno, presentati da De Vecchi, questi veci si avvicinarono al tavolo ove il col. Piasenti faceva loro indossare il cappello.
Per gli applausi cordialissimi di tutti i presenti, per il richiamo di ricordi tanto lontani, nessuno riusciva a nascondere la propria commozione. L’incontro non poteva chiudersi meglio.
Ringraziando a nome della Sezione, il capogruppo di Sernaglia della Battaglia dopo aver porto il saluto al sindaco Michielin, al col. Piasenti, al magg. Beltranda e a tutti i presenti, rivoltosi al capogruppo di Falzè Pietro Breda, ha detto: «Ci avete dato una lezione che speriamo di aver imparato». Sottolineato il fatto anche squisitamente umano di questi incontri che stanno ad indicare la salute morale e la continuità ideale di un popolo, ha esaltato il coraggio della nostra gente, che anche nelle opere dì pace ha sempre tenuto fede al verbo alpino di «arrangiarsi», creando con le sue forze e la sua tenacia le premesse per un sempre più prospero avvenire.

Il 10° anniversario della costituzione del locale Gruppo e il 50° della ricorrenza dell’avvenuto esodo della popolazione, sono pure stati ricordati dal parroco don Pietro Velo con un bel discorso che siamo assai lieti di riportare a completamento della cronaca della giornata patriotticamente vissuta dagli intervenuti al raduno di Falzè:
Miei cari alpini e parrocchiani tutti,
nell’organizzare la vostra festa annuale avete voluto, quest’anno, ricordare due date particolarmente significative e per tutti noi indimenticabili. Il decennale della fondazione ufficiale del vostro Gruppo, e il 50° anniversario dell’esodo delle famiglie dalle loro case, dalle loro terre. Esodo che ha segnato, per la gente di questa parrocchia, l’inizio di un calvario di sofferenze e di privazioni senza fine. Queste due ricorrenze sono due anniversari che voi, ed io con voi, non possiamo né dobbiamo dimenticare, perché piene di tanti ricordi e di profondo insegnamento.
La prima ricorrenza che voi volete ricordare con l’odierna celebrazione è il decennale di fondazione del vostro Gruppo.
Quando dieci anni or sono, per iniziativa dell’impareggiabile vostro primo capogruppo Antoniazzi, venne costituito il Gruppo Alpini di Falzè di Piave, voi non avete inteso con ciò associarvi o farvi promotori di una organizzazione paramilitare, ma solo inserirvi nelle famiglie degli alpini per portare anche nella vita civile quegli ideali di fraternità, cameratismo, spirito di sacrificio, fedeltà al dovere, amore alla Patria che sono patrimonio sacro di ogni popolo che si rispetti.
I più anziani fra voi sono stati un giorno protagonisti di mille e mille fatti d’armi degni di ammirazione. Infiniti sono i campi di battaglia in cui rifulsero, con l’eroismo vostro, quello di tanti vostri commilitoni che cadendo sul campo non hanno più ritrovata la via del ritorno. Sono questi vostri compagni d’armi che con voi un giorno condivisero sofferenze e dolori e che voi avete lasciati lassù sulle nevi immacolate delle nostre Alpi, nelle doline del Carso, sui dorsali dei nostri monti, e ancora quelli rimasti sul ponte di Perati e nelle fangose balze dell’Albania e della Grecia, nelle infinite steppe della Russia, i muti e abbandonati testimoni di inaudite sofferenze e di tanto eroismo.
Sono questi vostri amici che voi oggi volete ricordare e con loro ancora i 17 amici del vostro Gruppo che in questo decennio sono passati dalla patria terrena a quella celeste e, fra questi, lasciate che qui ricordi il vostro primo capogruppo e mia mamma che fu madrina del vostro gagliardetto e che venne in ciò scelta da voi non per atto di riguardo verso la mia persona ma perchè simbolo di sposa e di mamma che aveva dato le sue creature più care alla Patria.
Ma alla vostra festa odierna avete voluto dare un secondo significato, non meno nobile, non meno degno del primo: quello di ricordare i cinquant’anni dell’occupazione di Falzè di Piave. E avete fatto benissimo a ricordare questa pagina di storia che è stata ed è ingiustamente ignorata.
Molti sono stati gli scrittori che hanno esaltato l’epopea della nostra gente inerme, profuga, affamata e abbandonata da tutti, che per un anno intero ha lottato per sopravvivere.
Trenta e più anni fa uno scrittore non nostro ha scritto due libri interessantissimi: uno intitolato «Preti oltre Piave» e il secondo «Genti d’oltre Piave e d’oltre Grappa». Nel primo l’autore esaltava l’opera altamente umana e patriottica dei sacerdoti della sponda sinistra del Piave che soli erano rimasti in mezzo al loro popolo, per difenderlo dalle angherie e dalle prepotenze di un nemico invasore che aveva trovato facile la via della conquista non perchè fosse venuto meno il valore dei nostri soldati, ma perchè i capi avevano defezionato vilmente tradendo il loro dovere.
Nel secondo libro l’autore ricorda, con gli atti di puro eroismo compiuti da questa nostra gente, le inaudite miserie e sofferenze sopportate con fierezza per un anno intero.
Solo i più anziani fra voi possono ricordare quell’anno quando su Falzè si riversò una valanga di ferro e di fuoco, seminando per ogni dove rovina e morte. Chi ora più ricorda i cento e più morti di fame, di stenti, di epidemie? Chi più ricorda il pianto dei piccoli? Chi più ricorda le terribili sofferenze, le umiliazioni delle mamme in cerca d’un pugno di farina per le loro creature che ogni giorno venivano meno per l’inedia?
Chi più ricorda la fierezza dei nostri vecchi e delle nostre donne di
fronte ad un nemico tracotante e spesso brutale?
Nel prossimo anno sarà ricordato il 50° della vittoria, ed è bello che questa celebrazione sia fatta con tutta quella solennità che l’avvenimento richiede. Ma è bene che le autorità preposte nel programmare tale celebrazione non dimentichino le terre di qua del Piave, perché qui la nostra gente ha scritto pagine di eroismo pari a quelle che i nostri soldati hanno scritto sul Grappa, sul Montello, a Fagarè, nell’ansa di Zenson. Perchè qui tutti sono stati in prima linea, tutti sono stati eroi anche se da parte della nazione mai è venuto un riconoscimento ufficiale per questo fiero e eroico comportamento.
Ma ho ancora un’altra cosa da dirvi: ed è l’augurio che mai più le nazioni ricorrano alla guerra per risolvere i loro conflitti e i problemi che travagliano il mondo. Ma che la famiglia umana, stretta in fraterna solidarietà, smetta di costruire costosissime macchine di distruzione e di morte, ma lavori per creare gli strumenti della pace, fonte di ogni benessere e prosperità.