GRUPPO BIBANO GODEGA


 

21 GIUGNO 1996: INIZIA L'OPERAZIONE SAN BARTOLOMEO


San Bartolomeo 1996 Si apre il cantiere.


L'affresco prima del restauro.


Gianni Dal Cin controlla i lavori.

Tra le tante iniziative intraprese dal Gruppo di Bibano-Godega, di cui andare fieri in termini di impegno umano e economico, spicca principalmente il restauro della chiesetta di San Bartolomeo. Un intervento durato circa 14 mesi di intenso lavoro a cavallo degli anni 1996-1997, (ampiamente descritto nella specifica pubblicazione "San Bartolmeo di Bibano" di Giorgio Visentin e Innocente Azzalini (De Bastiani editore-2009).
Da quell'anno San Bartolomeo  è considerata la chiesetta degli alpini dove il Gruppo ogni anno commemora e ricorda turi gli amici andati avanti.
Dopo aver ottenuto le necessarie autorizzazioni comunali, il 22 giugno 1996 viene aperto il cantiere di lavoro per "il restauro e conservazione statica della chiesetta di San Bartolomeo di notevole interesse storico-artistico ai sensi artt. 1-4 della Legge 1 giugno 1939, n. 1089."
Come da accordi presi precedentemente con il parroco, don Battista Barbaresco, l'onere economico e di manovalanza è a carico esclusivo del Gruppo alpini di Bibano-Godega. L'arch. Francesco Peruch (progetto e direzione lavori), figlio di un alpino prematuramente andato avanti, e l'ing. Vittorino Dal Cin (calcoli statici), alpino egli stesso, offrono gratuitamente la loro professionalità.

Nella relazione tecnica si legge che "... si notano cedimenti delle fondazioni del manufatto. Cedimenti che hanno provocato una spaccatura delle strutture murarie ben visibile e riconoscibile osservando le crepe e fessure presenti sulla costruzione ed evidenziate nei disegni di rilievo allegati. " Si rende pertanto urgente un intervento per "realizzare delle sottofondazioni in calcestruzzo in maniera tale da dare un adeguato sostegno alle murature portanti".
Contemporaneamente si procederà alla "riparazione delle fessure e il recupero statico delle murature esistenti mediante la tecnica dello scuci-cuci integrato, ove necessario, con l'impiego di resine epossiche".
Per la struttura di copertura, causa le infiltrazioni d'acqua che ne hanno infradiciato e indebolito le antiche travature, se ne prospetta la "completa demolizione. Le nuove capriate in legno avranno sezione adeguata e sopra di esse verranno posati gli arcarecci, le tavelle in cotto e il manto di copertura formato dai coppi recuperati dal tetto esistente".
I lavori avranno due tipologie ben distinte:
a) opere inerenti il restauro della chiesetta;
b) opere relative al ripristino paesaggistico dell'area verde circostante e dell'antica viabilità.

Per il recupero dell' edificio gli interventi  prevedono:
- demolizione della tettoia-deposito attrezzi a ridosso della parete nord;
- formazione di nuova copertura lignea complessiva di 4 capriate, travature, tavelle in cotto e manto di copertura in ceppi originali;
- formazione di cordolo perimetrale in gronda per consolidamento della struttura degradata per appoggio di nuove capriate e ancoraggio tiranti in acciaio;
- scavo di assaggio lungo le fondazioni per verificarne la consistenza;
- ripresa parziale della muratura fessurata tramite scuci-cuci;
- assaggi per distacco intonaco interno al fine di verificare l'eventuale presenza di antichi affreschi;
- ripresa di intonaci interni ed esterni;
- ripresa e stuccatura delle lastre di pietra del pavimento e delle soglie;
- ripristino delle due pile per l'acqua santa;
- restauro della pedana in pietra e mattoni dell' altare;
- restauro del paliotto dell'altare;
- realizzazione dei serramenti delle finestre (mancanti) e pulizia delle inferriate;
- restauro delle porte lignee degli ingressi con particolare cura della formella raffigurante il pellicano;
- restauro del campaniletto a vela. In merito alle opere da eseguirsi per il recupero dell' area esterna:
- taglio arbusti, piante, siepi e livellamento del terreno;
- bonifica dell' area da detriti, rifiuti e scorie d'ogni genere;
- realizzazione di una passerella di comunicazione con l'antica sede stradale.
Durante tali sondaggi preliminari, nell' esigua fascia di terreno tra la parete sud e l'argine della peschiera si ritrovano i resti di alcune sepolture con minuscoli frammenti di ossa: è tutto ciò che rimane del piccolo camposanto di San Bartolomeo, probabilmente chiuso in età napoleonica.
Da questi primi interventi appare subito evidente che la situazione statica della chiesetta è molto più compromessa di quanto le prime indagini avessero esposto.
I volontari, comunque, non si fanno intimidire dalle difficoltà, si ritrovano numerosi ogni sabato e domenica e lavorano alacremente. Dapprima viene roncata dalle sterpaglie e ripulita dai laterizi l'area che attornia la chiesetta per consentire l'ancoraggio delle impalcature concesse, sempre gratuitamente, dalla ditta edile Adriano Gava, quindi si passa alla demolizione della tettoia addossata alla parete nord e vengono spostati i grandi generatori di corrente che alimentano l'azienda ittica di Giuseppe Brunetta (ex Sbrojavacca).

Dopo questi preliminari, il progetto prevede il consolidamento delle precarie fondamenta della chiesetta mediante gabbie di calcestruzzo lungo il perimetro esterno. La delicata operazione procede regolarmente quando la vistosa crepa che tagliava diagonalmente la facciata s'apre improvvisamente e il vetusto muro di sasso, indebolito da secoli di intemperie e scarse manutenzioni, si sbriciola paurosamente. In un sinistro boato crollano le pareti dall'ingresso centrale alla porta laterale, anche parte del tetto cede ma il danno viene provvidenzialmente limitato dall'impalcatura alzata all'interno che ne sostiene la capriate. Quando la coltre di polvere si posa ci si cerca, ci si conta ... miracolosamente un solo ferito, Annibale De Nardi, già generoso volontario in Friuli, procuratosi una ferita di striscio alla gamba e prontamente portato in ospedale per le opportune cure. Dopo alcuni giorni di smarrimento che attanagliava il cuore e traspariva negli sguardi dei volontari, sbigottiti ed attoniti dalla disperazione, pronta è risuonata la carica nonostante il morale fosse sotto i tacchi e attorno si fosse creato il vuoto. Di fronte a tale disastro che sembrava irreparabile, infatti, per timore di assumersi oneri e responsabilità molti si erano defilati in tutta fretta.
 


Un momento di pausa


Le vecchie mura in sasso.

Non gli alpini, però! Non i veri amici di San Bortolo! Non il sindaco Giovanni Pegolo! Nel sopralluogo fatto con i tecnici il giorno stesso del fattaccio, il sindaco disse: "Avanti, ricostruite San Bartolomeo come e meglio di prima. lo vi sarò vicino"
E gli alpini con in testa il capogruppo Giorgio Visentin, rincuorati, accettarono la grande sfida, serrarono le fila e ripresero i lavori con ancor più lena e slancio nonostante ora il compito si presentasse decisamente più arduo, complesso, costoso.
Bussarono umilmente, in particolare Alfredo-Tiziano Gava e Gianni Dal Cin, a tante porte in cerca di aiuti e mezzi, e le trovarono sempre aperte.
Così, approfittando del periodo estivo e di ferie i lavori procedettero ininterrottamente e alacremente dall' alba al tramonto, dal lunedì alla domenica compresa. Tutto l'edificio viene svuotato; si recuperano e si puliscono, uno ad uno, i sassi delle mura per poi riutilizzarli; si asporta la copertura salvando i coppi originali; si esaminano le capriate in legno per scartare quelle corrose e marcite (ne resterà una sola, per le altre bisognerà provvedere); si rinforzano l'abside e il campaniletto a vela rimasti in piedi.

Ed ecco la sorpresa: staccando dal muro il malmesso paliotto che contornava l'altare, sotto alcuni centimetri di calce che s'era sbriciolata, sulla parete nord del presbiterio emergono i segni cromatici di un affresco.
Viene quindi messa molta cura per non danneggiarlo in attesa di un futuro intervento specialistico (il prezioso affresco cinquecentesco, forse di Francesco da Milano o di Pellegrino da San Daniele, sarà poi restaurato dalla dott. Alma Ortolan rivelando una bellissima "Madonna in trono con Santi" ed oggi risplende nella sua brillante crornaticità). La pala dello Zompini, pittore veneto del Settecento, viene invece adottata dal dott. Gianbattista Sbrojavacca e, a sue spese, consegnata
al laboratorio del dotto Saviano Bellè, esperto restauratore di tele antiche, per la pulitura e i necessari interventi conservativi. Al termine dei lavori, la grande pala che ritrae San Bartolomeo a figura intera sarà collocata a coprire la parete absidale, dietro l'altare. Contemporaneamente viene messo in risalto e reso visibile, dietro una teca di vetro, il graffito su intonaco inerente l'intervento effettuato nel 1756.
I muri di sasso, nel frattempo, sasso dopo sasso (gli stessi recuperati dal crollo) e giorno dopo giorno, s'alzano nella loro imponenza e la struttura originaria riprende forma. Ed è così che la vedono con sollievo, il 24 agosto 1996, i numerosi fedeli (e alcuni estranei mossi da morbosa curiosità) accorsi per la consueta celebrazione della Messa all'aperto, nella ricorrenza del Santo. Negli occhi dei presenti ora brilla una certezza: tutti sanno che la loro antica e amata chiesetta, costruita dai loro antenati, rinascerà più bella di prima.
Quando, a settembre, le pareti raggiungono l'altezza originaria, tutt'intorno si posa una corona metallica ideata, fatta e offerta dalla ditta locale Officine Meccaniche Dal Cin, su cui basare le cinque capriate (una sola originaria) con relativa travatura, donate dalla ditta Fratelli Giovanni e Paolo Zarpellon, e il tetto con i coppi antichi.
Dopo una breve pausa invernale, a febbraio, riprendono i lavori con rinnovato slancio: ora che i frutti di fatiche e patemi si cominciano a vedere, che l'agognato traguardo è vicino, l'entusiasmo cresce in tutti i volontari e nell'intera comunità. Il termine è tassativo: la riconsegna di San Bartolmeo ristrutturato alla parrocchia di Bibano è fissata per il 24 agosto 1997, nessuna deroga o scusa, e l'impegno si intensifica. La chiesetta viene intonacata e dipinta gratuitamente, esterno e interno, dalla ditta Edilgessi di
Bibano che mette a disposizione un'intera squadra di operai diretti dagli esperti Angelo Attemandi e Itala Follegot. Tutti muri, precedentemente, erano stati ripuliti dagli stessi operai mediante un certosino intervento manuale. Tale operazione era stata condotta con metodo archeologico, senza perciò provocare traumi meccanici all' antica struttura muraria rimasta in piedi. E poi, con la tecnica a rinzaffo, si è continuato con la stesa della nuova intonacatura composta da impasti di sabbie selezionate di varie granulo metri e grassello di calce preparati dalla ditta specializzata in restauri Brandolin-Dottor.

All'esterno, lungo tutto il perimetro murario, si posa un acciottolato per proteggere le fondamenta dalle infiltrazione d'acqua; alle finestre vengono collocate le inferriate originali; vengono sostituiti i portali d'ingresso, grazie all'opera degli esperti falegnami Giuseppe e Bruno Dal Pietro su cui sono collocate le antiche formelle lignee. Ognuna raffigura il pellicano, simbolo paleocristiano dell'infinita bontà del Cristo. Secondo la credenza popolare si dice che il grande uccello pescatore, in mancanza di cibo, nutra i suoi piccoli affamati strappandosi la propria carne. In questa interpretazione il pellicano, dunque, un chiaro simbolo eucaristico. Il rivestimento in legno dipinto dell'altare viene mantenuto, così come il pavimento superiore di larghe pietre squadrate sotto il quale, mediante due piccole vetrate illuminate, si può vedere il basamento anteriore. Si sistema l'interno collocando l'acquasantiera di pietra, si rimettono in sesto i vecchi banchi e si rifà completamento l'impianto elettrico. Su diretto stanziamento economico dell'allora Presidente della Provincia, il bibanese Luca Zaia, viene dato incarico alla dott. Alma Ortolan di iniziare il certosino scoprimento dell'affresco che si nasconde sotto tre centimetri di vecchio intonaco. Mentre si provvede agli ultimi ritocchi, approfittando delle ferie d'agosto, la squadra dei volontari alpini procede a pulire le rive e estirpare le alte piante palustri del vicino corso d'acqua, a sistemare tutta l'area esterna con elementi decorativi e floreali.
Ora il colpo d'occhio è stupefacente e i cuori sono gonfi di commozione e di meritato orgoglio.
Le fatiche, le preoccupazioni, le sofferenze, le angosce e i tanti patemi sono dimenticati.
Per il capogruppo Giorgio Visentin e i suoi alpini è finalmente giunto il momento delle soddisfazioni individuali e collettive: tutto è pronto, il 24 agosto 1997, data scelta
per la grande cerimonia d'inaugurazione.

GV